Omelia in occasione della benedizione del Croce a Santa Rufina

12-09-2018

Collocare in alto una croce vuol dire esaltare la croce. Ma ciò non equivale ad una forma strisciante di masochismo, ma suggerisce due cose. La prima è non censurare la croce, cioè non edulcorare fino a rinnegare la sofferenza che c’è nel mondo. Se ci guardiamo intorno e poi dentro ci rendiamo conto che Gesù è veramente in agonia fino alla fine del mondo: guerre, dissesti naturali, fame, violenza, non senso. La seconda è accettare e resistere alle sofferenze e al dolore, specie se innocente. La croce è in alto sul monte per non raccontarci un modo incantato privo del male, ma per reagire ad esso non con altro dolore, ma con l’amore.

Gesù Cristo, il crocifisso, è quello che cambia di significato alla croce. Da strumento infamante di supplizio, a segno di speranza e di salvezza. Dobbiamo ritrovare sotto la croce la sua forza che non cessa di attirare gli sguardi dell’umanità che invoca salvezza anche se in forme spesso caotiche e contraddittorie.

Occorre imparare la ‘scientia crucis, come capitò a Edith Stein, ebrea e agnostica che cambiò il suo sguardo sulla vita, a partire da un incontro, quello col prof. Adolf Reinach. Era un filosofo che allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò per non tornare più dal fronte. Quando la moglie chiese ad Edith di aiutarla a mettere in ordine gli scritti filosofici del marito, Edith era spaventata dall’idea di incontrare la vedova ed aveva paura di non trovare la parole giuste per consolarla. Più profondamente Edith era rimasta colpita da questa morte inaspettata e la sua lacerazione interiore la portava a chiedersi: come sopravvivere alla morte? Quale speranza? Edith accetta l’incarico alla fine e parte per raggiungere la casa di Adolf. Giunta lì è colta da qualcosa che non si aspetta: la giovane vedova l’accoglie con animo sereno! È qui che Edith intuisce la forza della fede cristiana, quando racconterà: «Fu il mio primo incontro con la croce e con la forza divina che essa comunica a chi la porta. Per la prima volta vidi la Chiesa nata dalla Passione redentrice di Cristo, vittorioso sulla morte. In quel momento crollò la mia incredulità, l’ebraismo svanì, mentre nasceva in me la luce di Cristo, il Cristo colto nel mistero della Croce» . Lei stessa subirà la violenza nazista per la sua matrice ebraica che mai rinnegherà anche quando era ormai convertita al Cattolicesimo e quindi Monaca di clausura. La croce, scriverà Edith, «non è un oggetto fatto da madre natura; bensì un ordigno fabbricato, congegnato dalle mani degli uomini». E Cristo è Colui che ci innalza con sé in alto per toccare il Cielo, insieme con Lui, senza del quale è tutto assurdo.