Omelia in occasione del rito di imposizione delle Ceneri

Mercoledì delle Ceneri (Gl 2, 12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6, 1-6.16-18)
01-03-2017

Due episodi di questi giorni, il suicidio di un cinquantenne ad Amatrice e quello assistito di Dj Fabo in Svizzera, ci scuotono dal nostro abituale torpore. Quando si è preda di una lunga e difficile depressione, e quando, come nel caso del Dj Fabo, non troviamo più il senso della vita e le nostre giornate «sono intrise di sofferenza e di disperazione», può succedere che la morte sia scelta al posto della vita, in nome di una vita diversa.

A noi stasera, più che di giudicare, è chiesto di risvegliarci e di sentire vicinanza per coloro che soffrono. Senza dimenticare che anche noi siamo chiamati a scegliere di vivere e non semplicemente di sopravvivere, allontanandoci dall’abitudine, un callo che ci fa andare avanti senza renderci conto di quello che sta accadendo dentro e fuori di noi. Con l’abitudine smettiamo di opporci a ciò che è morte, che è male, e premettiamo che le cose siano quelle che sono, o semplicemente ci adeguiamo a quello che alcuni hanno deciso che siano.

La Quaresima, con il suo provocante simbolo delle ceneri, segno della nostra finitezza, ci viene allora incontro a proposito, proprio per farci superare questo virus dell’abitudine. Lo fa mettendoci dentro un combattimento spirituale, cioè interiore, ma non per questo astratto o evanescente. Perché, come abbiamo ascoltato dalla pagina evangelica, ha a che fare con pratiche molto concrete, che diventano come degli anticorpi rispetto all’abitudine.

Il primo ha a che fare con l’elemosina, di cui Gesù puntualizza non la quantità, ma la qualità, con queste parole da mandare a memoria: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra». Ciò che aiuta a ritrovare la vita, pur in mezzo alle sue mille dolorose contraddizioni, è fare le cose gratis, senza quasi accorgersene, senza dirlo neppure a se stessi. È questo un morire che porta in gestazione la vita di molti. Fare le cose gratis, senza aspettarsi alcun ritorno, è ciò che ci sottrae all’abitudine e ci dà la possibilità di vivere la vita, anche nelle sue asperità, con un sussulto di vitalità.

Il secondo anticorpo è la preghiera, di cui Gesù non precisa la formula, ma solo la condizione, dicendo: «Quando poi pregate, non datevi allo sproloquio come i pagani». Nell’ascoltare, più che nel parlare, sta la radice segreta dell’esistenza. Ciò che ci aiuta a resistere alle tante morti quotidiane è poter percepire parole divine, che non sono quelle degli uomini, ma sono le uniche che sanno integrare la gioia e il dolore, la vita e la morte.

Il terzo anticorpo è il digiuno, che il Maestro descrive così: «Quando vuoi digiunare, lavati la faccia e profumati i capelli». Digiunare non è una prova da stress, né un ritrovato estetico. È la condizione per esercitare la nostra libertà dalla semplice pressione dei bisogni. E questo ci rende attraenti e trasparenti, meno ingrigiti e appesantiti.
Siamo all’inizio di questo cammino che ci porta dritti verso la Pasqua, la primavera dello spirito.

L’augurio è che questo tempo, che giovani e anziani, bambini e adulti, cominciano insieme, ci renda non impuniti, ma piuttosto insolenti. Cioè non soliti, non scontati, liberi da quella patina dell’abitudine che spesso ci rende insensibili.