Omelia in occasione del Giubileo dell’Ordine dei Predicatori

XIV domenica per annum (Is 66, 10-14c; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12.17-20)
03-07-2016

“Il Signore designò altri 72 e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”. Gesù quando decide l’invio dei discepoli non ha ancora in mente tutto il mondo. Egli è pur sempre un ebreo e lungo tutto il Primo Testamento dove pure non manca l’universalismo non si mai fa cenno al proselitismo. Sarà la chiesa post-pasquale a sentire l’urgenza di portare il Vangelo in tutto il mondo allora conosciuto. In questa corsa del Vangelo si inserisce il giovane Domenico che era nato a Caleruega nel 1170. Dopo essere stato ordinato prete, si ritrova con il suo vescovo Diego in una spedizione (1203) affidata da Alfonso IX, re di Castiglia, che voleva maritare suo figlio Ferdinando ad una principessa reale di Danimarca. Per via Diego e Domenico seppero che la principessa era morta. Ma il passaggio per la Linguadoca rivelò ai due viaggiatori i tristi effetti che l’eresia degli Albigesi produceva in quelle regioni. Tale eresia aveva trovato largo spazio tra le donne, specialmente nobili, e per questo Domenico si impegnò subito a radunarne alcune che potessero creare un contro-ambiente adatto a fronteggiare l’eresia che nasceva nel contesto di un clero corrotto e demotivato. Così l’opera missionaria si rivelò ancora una volta come una preparazione all’incontro con Dio, reso possibile da una testimonianza credibile. Dovremmo tutti riscoprire questa funzione di mera preparazione, di allestimento dell’incontro, dopo di che lasciare alla grazia di Dio di agire. Ci risparmieremmo delusioni e frustrazioni e ritroveremmo la nostra vera identità che è di anticipare, non di realizzare la fede.

Gesù puntualizza lo stile di questo lavoro previo e lo fa da par suo, facendo emergere tre qualità: la mitezza (“Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi”), la gratuità (“Non portate borsa, né sacca, né sandali…”) e la comunione (“Li inviò a due a due”). Non si fatica a rinvenire nell’esperienza di san Domenico queste stesse caratteristiche che determinano uno stile inconfondibile, immortalato peraltro dall’iconografia: la torcia in bocca ad un cane, il giglio e il libro.

Anzitutto, la mitezza che è simboleggiata dal cane che è l’animale fedele e insieme coraggioso. E’ mite non chi è ingenuo, ma chi sa reagire alle contrarietà senza ricatti e senza rancori. Essere miti vuol dire sapere di andare incontro qualche volta alla crocefissione e non necessariamente all’autogratificazione. Anche san Domenico sperimentò la prova e la fatica dell’annuncio evangelico, ma mai perse la sua abituale serenità. Nonostante la leggenda nera sulla sua partecipazione all’inquisizione che è storicamente falsa perché il provvedimento del papa che stabiliva i tribunali degli eretici è di almeno dodici anni posteriore alla sua morte, avvenuta nel 1221, il 6 agosto. Domenico certo si ritrovò in mezzo alla violenza del suo tempo, ma con lucidità intuì che solo la sobrietà della vita unita ad una rigorosa preparazione culturale potevano debellare l’errore di chi era scandalizzato dalla contro-testimonianza del clero. Per questo volle creare i frati predicatori. In ciò distinguendosi da san Francesco che forse incontrò nel suo secondo viaggio a Roma.

La gratuità è simboleggiata dal giglio che dice la purezza e, dunque, la libertà da ogni brama di possesso. Essa consiste, nel non cercare nulla e nello stesso tempo nell’accettare qualunque cosa. La Chiesa non cerca per sé, ma si affida alla Provvidenza. Significa riconoscere che tutto è grazia e tutto è ricevuto. Questo atteggiamento cambia la nostra maniera di porci rispetto agli altri. Non pretendere e non rifiutare. Non catturare e insieme accogliere quello che ci è dato in dono. Chi pretende è sempre insoddisfatto. Chi rifiuta è sempre isolato. San Domenico visse così e la stessa devozione mariana ne è un riflesso. Come Maria lo spagnolo imparò che il Vangelo è pura grazia e la stessa pratica del Rosario fu una scelta precisa: la preghiera che resiste e non si arrende alla violenza del mondo.

Da ultimo, la comunione, simboleggiata dal libro della Parola. Gesù invia i suoi discepoli insieme perché ciò che conta è mostrare un abbozzo di comunità che accolga e mostri ciò che unisce. Viceversa le divisioni e le rivalità smentiscono ciò che si va a fare. La fraternità è un banco di prova per andare lontano e si fonda sul comune ascolto della Parola di Dio. Oggi si privilegia la velocità che sembra più rassicurante, ma in realtà dobbiamo riscoprire la forza dei legami che rallentano ma danno profondità. Per questo san Domenico si ispirò alla regola di sant’Agostino per far sì che i preti non vivessero ognuno per proprio conto, ma avessero una regola di vita in comune che li faceva partecipi della stessa missione, senza personalismi e senza mediocrità.

Siamo qui a far memoria di un discepolo eccezionale. San Domenico ottenga per noi preti e per tutti i credenti di essere discepoli miti, gratuiti, uniti. Maria, Vergine della tenerezza, interceda per questa Chiesa che ebbe il privilegio di vederlo elevato agli onori degli altari a Rieti nella Cattedrale di Santa Maria il 3 luglio del 1234 ad opera di Gregorio IX.

Via S. Agnese, 8, 02100 Rieti RI, Italia