Omelia in occasione del 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Mons. Luigi Bardotti

Solennità di San Domenico (Is 52, 7-10; Sal 95; 2 Cor 4, 5.7-15; Mt 5, 13-16)
08-08-2016

«Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme». Le parole di Isaia sembrano calzare a pennello rispetto alla circostanza che ci vede riuniti qui, nel “bel San Domenico”, per i cinquant’anni dall’ordinazione presbiterale di mons. Luigi Bardotti. Il canto, e ancor prima la musica, sono infatti il segreto movente della sua esistenza e del suo ministero pastorale. E gli effetti non hanno tardato a manifestarsi. Questa chiesa era in rovine come Gerusalemme ed ora invece nella sua sobria bellezza accoglie tutti noi. L’organo imponente, a dire il vero, è solo una metafora della passione per il bello che don Luigi ha saputo interpretare in tante forme. Come quando a villa sant’Anatolia svegliava i ragazzi con la musica dell’Ave Maria di Lourdes o quando ha voluto intraprendere l’esperienza della banda musicale o della corale “Aurora Salutis”.

Il prete è l’uomo del bello e non tanto dell’utile, come oggi si tende a ritenere. Forse per questo oggi la sua figura è andata scemando nell’immaginario collettivo e sembra essere meno appetibile. La bellezza oggi è sostituita da altri surrogati, come la funzionalità, il tornaconto, la velocità, che ci hanno espropriato di questa esperienza, necessaria per noi come il pane e come l’aria. Senza bellezza l’uomo regredisce, perde la sua individualità e si assuefà ad una condizione che lo priva del suo desiderio più profondo, quello che lo rigenera ad ogni passo.

Ma da dove è nata questa passione in don Luigi? Da un singolare impasto. La vocazione dall’alto e la sua umanità dal basso. Ce lo lascia intuire la struggente pagina dell’apostolo Paolo che chiarisce: «Noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo crocifisso. Però abbiamo questo tesoro in vasi di creta». Il prete è un «arco teso» tra l’altezza di un nome che è impronunciabile, quello di Dio, e la bassezza della sua condizione umana, che non lo esonera dai fallimenti, dalle cadute e dalle mediocrità di ogni uomo. La forza di un prete sta in questo singolare impasto: mai l’uno senza l’altro. Se il prete fosse solo un desiderio purissimo di Dio e dell’Assoluto rischierebbe di apparire sbiadito agli occhi dell’uomo e della donna di oggi. Se fosse solo marchiato dal limite umano finirebbe per non apparire credibile rispetto alla sua missione. Il prete è sempre un arco teso: tra Dio e l’uomo, tra i desideri e i bisogni, tra l’alto e il basso. Nella persona del prete si concentrano queste tensioni antitetiche e questo ne fa la sublimità e insieme la fragilità.

Perché c’è bisogno di preti anche oggi e non solo di operai, medici, politici e architetti? Perché la vita umana si preserva solo ad una condizione: se sa insegnare e imparare l’amore di Dio. Come lascia intendere la pagina di Matteo: «Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo». Il sale dice ciò che dà gusto e sapore alle cose. Senza Dio tutto diventa scialbo e perde colore. Per questo il prete è necessario anche oggi: per preservare proprio l’umano, che è a rischio senza quella sensibilità che può venire solo dal Creatore. La «luce» dice che nel buio di oggi il Vangelo resta una lampada che illumina il nostro incerto cammino, rischiarando quanto basta per poter continuare a camminare. La cosa interessante è che Gesù si rivolge al plurale ai suoi interlocutori. Non si può essere preti da soli, ma nell’esercizio di un ministero che è di suo radicalmente comunitario. Non si danno eroi solitari o viaggiatori isolati. La forma del ministero è solo quella del collegio e dunque dell’insieme. Diversamente si rischia una ricerca individualista che non fa crescere la comunità.

San Domenico, nella cui festa rendiamo grazie a Dio per il cinquantesimo di don Luigi, è per noi un riferimento convincente. Di lui scrive Giordano di Sassonia: «Siccome la gioia brillava sempre nel suo volto, fedele testimone della sua buona coscienza… con la gioia attirava con semplicità l’affetto di tutti; coloro che lo guardavano rimanevano incantati». Così è stato di san Domenico. Ma così è stato anche del nostro don Luigi. Preghiamo per lui e anche per quanti potranno seguirlo nella via di questa bellezza che si dona e di questa vita che si fa compagna della vita degli uomini e delle donne del nostro tempo.