Omelia in occasione dei festeggiamenti in onore di San Francesco d’Assisi

XXVIII domenica del Tempo ordinario, anno C (2 Re 5, 14-17; Sal 97; 2 Tm 2, 8-13; Lc 17, 11-19)
09-10-2016

«E gli altri nove dove sono?». La domanda a bruciapelo del Maestro intende rimarcare un fatto: in dieci erano stati “purificati” dalla lebbra, ma solo uno si è salvato. Per questo dice al samaritano, che era considerato un “bastardo”: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato».

Verrebbe quasi da dire che è più facile guarire da una malattia che dall’ingratitudine. La saggezza popolare ha coniato il detto secondo cui «un cane riconoscente vale più di un uomo ingrato». Qui però c’è di più. Il samaritano non si limita a dire grazie, ma «tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi per ringraziarlo». Non è una questione di galateo: si coglie un livello più profondo che lascia intravedere la differenza tra l’essere guariti e l’essere salvati. La salvezza significa riconoscere che non mancano le ragioni per vivere di stupore. Spesso si dà tutto per scontato. E l’ingratitudine è solo l’esito di un atteggiamento per il quale non bastano mai le cose che abbiamo e le chances che ci vengono offerte, perché ne rivendichiamo sempre altre. Di conseguenza si vive spesso rancorosi e insoddisfatti. La fede nasce dallo stupore e dalla meraviglia rispetto alla bellezza della vita, che è il primo miracolo. La salvezza non è accontentarsi della salute, della prestanza fisica, dell’intelligenza, della forza, ma emozionarsi per quello che siamo e abbiamo ricevuto in dote. Ritrovando nel dono la cifra dell’esistenza, che non è un credito da esibire, ma un debito cui attendere.
Il miracolo, che nulla ha di spettacolare, ci fa pure scoprire chi è Dio. Ben lontano dalla nostra immaginazione Dio è Uno che ha a cuore tutti, senza distinzioni di razza o di religione, vicino e partecipe delle sofferenze di ciascuno. Egli è per definizione colui che è «fedele», come lascia intendere Paolo al suo giovane discepolo Timoteo. Noi possiamo essere infedeli, ma Lui c’è sempre. Possiamo rinnegarlo, dimenticarlo, perfino disprezzarlo, ma Lui resta sempre fedele a sé stesso e dunque a noi. Credere è avere questa certezza, anche quando tutto intorno a noi sembra franare. Lui è sempre sul nostro cammino.

Chi ha avuto la capacità di lodare e di ammirare l’esistenza e il Creatore? San Francesco, che in questa Valle santa è vissuto a lungo, ci suggerisce la strada per recuperare la gratitudine, che è la porta d’accesso della fede. Il “cuore fluido” che fu di san Francesco, capace di intenerirsi per tutto e di ringraziare per ogni evenienza, è la grazia che chiediamo qui, oggi, a Greccio.