Omelia della XVIII domenica per annum (B)

Es 16,2-4.12-15; Sal 78; Ef 4,17,20-24; Gv 6, 24-35
05-08-2018

«Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà». Di fronte alle inevitabili difficoltà del viaggio verso la libertà gli ebrei sono tentati di rimpiangere la condizione di prima: allora erano in schiavitù, ma almeno avevano la pancia piena! Non è il lamento di chi è sazio, al sicuro e scioccamente si angoscia per cose di poco conto e per problemi secondari. Qui siamo di fronte a questioni vitali che il deserto rende drammatiche: mangiare, bere, sopravvivere. Dio si inserisce in questo frangente drammatico e non mostra di essere insensibile, anzi si fa sollecito e invia la manna che è un cibo misterioso che va raccolto ogni giorno, non può essere ammassato per non dimenticare mai la precarietà dell’uomo. Non bisogna farsi illusioni: ogni volta che si fa un passo avanti ne facciamo un altro indietro. Siamo bravi a risolvere problemi secondari, ma quelli di fondo restano insolubili: la fame, la sofferenza, la morte, la pace, la società più giusta e più fraterna. Il progresso è tutt’altro che un processo rettilineo, come avevamo immaginato.

Il rischio oggi è quello di pensare che basta risolvere i problemi economici che avremmo fatto tutto. Ma, ammesso che ci si riesca, non è sufficiente. E Gesù, da par suo, lo la lascia trapelare nel suo dialogo fitto con chi lo insegue dopo che ha appena moltiplicato i pani. E a muso duro dice: “In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. E così siamo già al punto: la gente cerca un cibo che perisce e Gesù intende donarle un cibo che viene da Dio. L’uomo si dà da fare solo per sfamare la sua fame con le cose, ma queste sebbene utili sono pur sempre peribili. E anche a volerle moltiplicare non riescono ad assicurare la felicità. E’ la ragione per cui oggi la tristezza, anzi la svogliatezza, la noia, l’insoddisfazione rendono indigesti tutti i cibi materiali. Siamo sazi e disperati!

Allora comprendiamo l’invito di Gesù: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna”. D’accordo bisogna sfamarsi, dissetarsi, vestirsi, ma avvertendo che non è ancora tutto. “Il mondo è un ponte. Passaci sopra, ma senza stabilirvi la tua dimora”, è detto in uno scritto apocrifo, a proposito del Maestro. Ecco perché l’affondo finale di Gesù suona come una pretesa: ”Io sono il pane della vita!”. Io e non altri surrogati. Non sono venuto a spegnere la vostra fame, ma a orientarla verso qualcosa di grande e appassionante: verso qualcosa di divino. Solo questa tensione preserva la libertà dell’uomo che non può essere barattata in nome della sicurezza. Perché verrebbe meno l’appagamento che resta solo Dio.