«Oggi c’è carenza di sguardi, ma non da parte di Dio»

Omelia del vescovo Vito in occasione della novena in onore di san Giuseppe da Leonessa
29-01-2023

Ci lasciamo guidare, carissimi fratelli e sorelle, da questa parola che come sempre illumina il nostro cammino. È una parola di speranza e una parola di fiducia. Il profeta Sofonia, che scrive nel settimo secolo a.C. in una società corrotta, degenere, prova a raccontare, a istruire, a esortare quegli umili che si mantenevano fedeli alle promesse di Dio, ad essere una piccola fiaccola, anche nell’oscurità. E c’è un invito che raggiunge tutti quanti noi ancora oggi: cercate l’umiltà. Ma noi di solito cerchiamo altro, l’umiltà non ci appartiene. L’umiltà significa ricordarsi la nostra origine, ricordarsi che siamo humus, terra. Invece, l’uomo di tutti i tempi cerca di farsi un’altra immagine di sé, un’immagine che il più delle volte riesce deformata perché è piena di menzogna.

Ma il cristiano ha una grazia tutta particolare, perché la verità su sé stesso – e questo è l’atteggiamento umile – la riceve dall’incontro con il Signore. Lui è la via, la verità e la vita. Dice bene il Concilio Vaticano secondo nella Gaudium et spes: ciascun uomo guardando Cristo che è l’uomo nuovo, l’uomo perfetto, diventa più uomo. E il cristiano sa bene che se vuole essere davvero per il Signore deve lasciarsi illuminare dal Vangelo. Nel Vangelo delle beatitudini, nel Discorso della montagna, Gesù è il nuovo Mosè. Guardando lui riceviamo la legge nuova, la legge dello Spirito, la legge che davvero fa crescere la nostra esistenza. Vorrei che non ci sfuggisse, però, questo accento che l’evangelista pone all’inizio del suo Vangelo: «in quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, ammaestrava i discepoli dicendo, Beati». Lo dice per 9 volte.

Cari fratelli e sorelle, noi siamo invitati a guardare Lui perché la nostra vita sia riscattata dalla menzogna, sia abitata nella verità con umiltà. È Gesù l’uomo delle beatitudini, lui è il vero povero, lui è il mite, lui e il pacifico, lui è colui che soffre l’ingiustizia. Ma il cristiano è chi si accorge che, prima ancora di essere impegnati nel guardare, nel contemplare Cristo, siamo noi ad essere visti da Dio. La nostra vita è vista, amata da lui, siamo nei suoi occhi. Il cristiano è abitato da questa certezza. Cari fratelli e sorelle, chi ci ama ci porta nello sguardo. Può stare a milioni di chilometri di distanza, ma ci porta negli occhi. Un padre, una madre, porta suo figlio negli occhi, dovunque e sempre, nonostante tutto.

Noi siamo nello sguardo di Dio. E ci interessa rimanere in questo sguardo perché la nostra vita sia una vita innamorata, sia una vita capace di amore verso Dio e verso tutti i suoi figli. Con un occhio di predilezione per chi resta sempre indietro. Anche nelle nostre realtà in tanti restano ai margini e spesse volte è perché manca uno sguardo capace di accorgersi. C’è una carestia di sguardi. A volte siamo abituati a quelle amicizie solite, agli amici che abitano accanto alle nostre case, però volentieri facciamo a meno di qualcuno. Oggi il Signore ci invita anzitutto ad avere uno sguardo attento. Chissà quante erano quelle persone che andavano dietro a Gesù, tanto che lui sente il bisogno di andare su questo Monte e di parlare ai discepoli, perché questi poi portino a valle una parola di speranza, una parola di fiducia per tutti e per ciascuno. E quando Gesù dice, «Beati i poveri, beati gli afflitti», non dice mica beata la povertà, beata l’afflizione perché Dio non ama la povertà, Dio non ama l’afflizione, Dio non ama l’ingiustizia, Dio non ama il pianto.

Ma qual è la parola di fiducia che viene per tutti i poveri della terra e anche per noi? Se ci fidiamo delle sue promesse è questa: tutti potranno darti le spalle, ma sappi che Dio non lo farà mai. Felice te anche se sei nella povertà, ma non per la povertà che stai vivendo e subendo, non per le tue lacrime. Beato te, felice te, perché Dio mai ti dichiarerà divorzio, Dio mai ti darà alle spalle, Dio mai ti abbandonerà. Anche nella tua prova ci sarà un angelo che si avvicinerà a te. Probabilmente non avrà le ali. Probabilmente sarà a sua volta un figlio, un bambino. A volte sarà una persona amica che ti potrà dire come ascoltò Maria a Nazareth, «il Signore è con te». Non contro di te. Perciò la nostra vita è Benedetta anche quando attraversiamo momenti tristi e difficili.

Cari fratelli e sorelle, sappiamo che la nostra vita è custodita nel palmo della mano di Dio e Beati noi che ci gloriamo della intercessione del grande san Giuseppe. Perché tutta la sua vita, la sua predicazione, la sua umiltà, il suo farsi piccolo con i piccoli, come ascolteremo dopo nella Novena, ci dice che il Vangelo è possibile viverlo, questo Vangelo non è per altri tempi, non è né per il passato né per il futuro, è per l’oggi, è per il nostro oggi, è per la nostra città, per le nostre realtà. E desidero chiaramente ringraziare il Signore soprattutto per il dono dei sacerdoti che in maniera instancabile si prodigano perché a tutti giunga la bella notizia del Vangelo.

Le opere, ciò che si fa, viene dopo, ma non dimenticate, cari fratelli e sorelle, che alla base c’è questo amore profondo per il Vangelo, che non è un libro, il Vangelo per noi è la persona stessa di Gesù, nostro Dolcissimo amore.