«Non è qui» / 1

(Mc 16, 1-8)
13-04-2018

Premessa
Se è vero che i giovani vanno raggiunti in movimento le tre tappe qui, a Castel di Tora e a Labro vogliono essere un modo concreto per incontrarci sulla strada. E sempre a partire dalla Parola del Vangelo in questo tempo di Pasqua. Tutto, infatti, nasce dalla Pasqua di Gesù che fa riferimento ad un evento – mai forse è più appropriato questo termine oggi così inflazionato – che corrisponde ad una domanda. Come fu possibile dopo la catastrofe della croce un nuovo inizio? Come germinò, dopo la morte di Gesù, questo movimento a lui ispirato, così gravido di conseguenze per le future vicende del mondo? Come è possibile che questo maestro di falsità condannato sia assurto a Messia di Israele, a Cristo, questo profeta sconfessato a Signore, questo seduttore del popolo smascherato a Redentore, questo bestemmiatore a Figlio di Dio? Come si può dunque spiegare che non malgrado, ma proprio a causa della sua morte questo Gesù, cioè proprio il Crocifisso, sia diventato il contenuto centrale del loro annuncio?

A questa domanda, che in realtà ne solleva molte altre, è legata la nostra preghiera che intende sostare sulle pagine dell’evangelista Marco per entrare dentro l’enigma storico della genesi, dell’inizio, dell’origine del cristianesimo. Quello che sembrava essere solo la fine, si rivelerà l’inizio di una vita nuova.

Fa bene riassaporare il gusto della Pasqua perché è questa e non altra la novità del cristianesimo che si impose nel mondo pagano per questa speranza che contraddiceva la consueta persuasione del mondo greco che faceva della morte l’esito naturale della vita, di fronte alla quale non era dato altro che prendere atto con disincanto e realismo del ciclo naturale delle cose.

Disponiamoci a riascoltare la parola della resurrezione.

Lectio

L’evangelista Marco concentra il fatto della resurrezione di Gesù nel solo capitolo 16, di cui i primi 8 versetti si chiudono bruscamente. I versetti che seguono sono un’aggiunta posteriore. Analizziamo ora brevemente il testo.
«Passato il sabato Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salome comprarono aromi per andare a ungerlo. E di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levar del sole». Vanno le donne dopo che è tramontato il sabato, dove era fatto divieto assoluto di muoversi. E vanno appena spunta il sole, cioè quando riescono a distinguere un sasso da una pietra. In realtà, la vera unzione di Gesù era già avvenuta a Betania (Mc 14, 3-9). Ci si potrebbe chiedere: cosa vuol dire ungere un corpo tumefatto che già è morto da quasi due giorni. Ma si sa al cuore non si comanda e questo gesto di profumare un corpo è forse solo l’inconfessata speranza di profumare la vita che non può essere ammorbata dal lezzo della fine.

«Dicevano tra loro: Chi ci rotolerà via la pietra dall’ingresso del sepolcro?» Ad alcuni esegeti sembra solo una domanda retorica, ma in realtà esprime la domanda lancinante di ciascuno di noi di fronte alla morte. Chi potrà liberarci da questo fatto che è certo e insieme incomprensibile? La morte resta l’unica cosa oscena della vita, cioè senza spiegazione. Per quanto la si scarti riemerge puntualmente. E ci lascia sbigottiti. Non sappiamo farcene una ragione e tendiamo a interrogarci senza trovare risposta. Per questo la domanda sulla morte rimane una questione tutt’altro che retorica. È la vera e unica questione seria. Tutto il resto è vanità.
«Ma riguardando videro la pietra rimossa, ed era molto grande». Più che guardando di nuovo, il verbo è “guardando in alto”. Come a dire che soltanto quando sollevano lo sguardo si accorgono dell’incredibile. Noi siamo soliti dire “metterci una pietra sopra” per indicare un fatto ormai insuperabile. Qui lo sguardo in alto cambia la percezione delle cose. Non sono più catturate dai loro pensieri neri, ma si accorgono che è successo qualcosa di inspiegabile, cui mai avrebbero pensato. E finalmente arrivano a vedere: «ed entrate nel sepolcro, videro un giovane».

Chi è questo giovane? Si dice che è «seduto a destra, vestito di bianco». Per quanto affascinante si comprende la paura delle donne che trovano quello che non si aspettano. È un modo cifrato per comunicare che quello che si sentono dire non appartiene a loro. Proviene da altro. E infatti si tratta di un annuncio che è rivelazione di Dio. Non si tratta dunque di una scoperta o di una elaborazione umana, ma è rivelazione di Dio. Una rivelazione che si prolunga nelle confessioni di fede pasquale dove la resurrezione è sempre l’azione potente di Dio, che si rivela vincitore della morte e salvatore nella persona storica e concreta che di chiama Gesù di Nazareth, il condannato alla croce, il crocifisso. «Non temere. Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso; è risorto, non è qui; ecco il luogo dove l’avevano deposto». Di per sé la tomba vuota, o meglio aperta, non è una prova della risurrezione. È soltanto una constatazione che apre all’interrogativo sulla destinazione del corpo risorto di Cristo. Ed è comunque un particolare che non poteva essere inventato perché facilmente verificabile dai contemporanei. Tanto che la diceria che si diffonderà non sarà della tomba piena, ma del corpo trafugato.
«Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi disse». L’angelo dà alle donne l’incarico di riferire ai discepoli e a Pietro l’appuntamento con Gesù risorto in Galilea. L’incontro con il risorto fa ripartire la missione. È significativo che l’appuntamento sia dato là dove tutto era cominciato e da dove tutto riparte.
«E quelle, uscite, fuggirono dal sepolcro, perché erano sconvolte dallo spavento, e dalla paura non dissero nulla». La reazione delle donne sul piano psicologico e storico appare sproporzionata, ma nell’ottica di Marco è il commento più efficace alla novità sconvolgente della novità pasquale. Di fronte alla rivelazione di Dio l’uomo resta attonito, come i tre discepoli che scendono dal monte e non devono dire niente a nessuno (Mc 9,11). La rivelazione di Dio non sopporta di essere addomesticata negli schemi umani. Non siamo di fronte ad una risuscitazione, né tantomeno ad una reincarnazione. Ma a qualcosa di inedito e di sorprendente che soltanto nella fede può essere accolto con la dovuta attenzione.

Meditatio

Da Marco apprendiamo che l’incontro con Gesù Risorto non è mai atteso né ricercato dai suoi discepoli. Colpisce, anzi, un fatto: ogni volta la scena è sempre dominata dalla paura e dal dubbio. Poi all’improvviso accade qualcosa di imprevisto.

Einstein, come è noto, ha rivoluzionato la scienza moderna con la sua teoria della relatività. Lui stesso agnostico per definizione, afferma però che lo spazio per il mistero è la condizione per entrare dentro la realtà. Ed aggiunge che «la mente intuitiva è un dono sacro, la mente razionale è un fedele servo». Per concludere che «noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono». È tempo forse di persuadersi di una cosa: non esiste un’unica forma di accesso alla realtà che è data dalla conoscenza tecnico-scientifica. Senza dubbio questo metodo è legittimo e garantisce da false presunzioni e da ricorrenti superstizioni. Ma il reale è enormemente più ampio di quello che è rilevabile con gli strumenti della scienza. Da questo punto di vista ciò che è razionale è senz’altro reale. Ma non tutto ciò che è reale è necessariamente razionale. Solo per fare un esempio: il Big Bang è probabilmente vero, stando alla ricerca scientifica, ma non è storicamente documentabile. Per di più, nel caso della resurrezione di Gesù Cristo come si fa a dimostrare un evento che per definizione è metastorico (non metà storico), cioè al di là di questo tempo e di questo spazio?

Di qui tre conseguenze:

Il segreto messianico: la resurrezione non può essere divulgata come una notizia qualsiasi. Richiede un lungo apprendistato, di cui la comunità cristiana si farà carico. Era impensabile divulgare la cosa come fosse acqua fresca, senza incorrere nel rischio di essere beffeggiati e ridicolizzati. La preghiera è la strada per addentrarsi dentro questo grande mistero che è il segreto della vita.

Il crocifisso risorto è segno dell’ingiustizia: ci sono vittime ogni giorno che non possono essere considerate materiale da scarto. Credere nella resurrezione vuol dire guardare alle vittime con uno squarcio di speranza. Come Dietrich Bonhoeffer, il giorno della sua morte (9 aprile 1945) quando annota sul suo diario: «È la fine. Per me l’inizio di una vita nuova».

Dopo la resurrezione il bene è più forte del male: anche se da quel mattino di Pasqua apparentemente tutto scorre come sempre non è più vero che il male ha la meglio sul bene. C’è una marea di bene che sostiene il mondo, per lo più in modo carsico, senza grida o notorietà. Ma se il mondo va avanti è per la congiura di tanti verso il bene, per la maggioranza silenziosa di quelli che continuano a credere nella vita piuttosto che nella morte.