Mercoledì della VI di Pasqua 2020 (in memoria di Salvatore Balbi)

(At 17, 15.22-22-18,1; Sal 148; Gv 16,12-15)
20-05-2020

Quando sentirono parlare di resurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: Su questo ti sentiremo un’altra volta”. La reazione degli ateniesi all’Aeropago è sprezzante, quando Paolo parla della resurrezione di un uomo inviato dal “Dio ignoto” che giudicherà il mondo con giustizia.     Siamo qui a far memoria del luogotenente Salvatore Balbi, morto a cinquantasette anni, in tempo di pandemia. Fino ad oggi i disastri erano sempre altrove, sempre distanti dal nostro mondo e questo bastava a darci sicurezza. La morte, ovviamente, c’era, ma la routine quotidiana riusciva ad occultarne la paura. Tutto questo adesso è cambiato. La morte è al centro del palcoscenico. E con la morte torna a galla un interrogativo intorno all’esistenza e al senso della vita. “E dopo?”. Noi l’abbiamo censurata questa domanda, ritenendola superflua o, peggio, inutile. Oggi Salvatore ce la ripropone con il suo eloquente silenzio.

La cultura greca, a differenza di quella moderna, aveva il senso del limite e perciò sapeva che fa parte della condizione umana la sua finitezza, quasi una necessità biologica. Tale giustificazione non spegne dentro di noi il sentimento che la morte è la somma ingiustizia! Specie, quando avviene come per Salvatore all’improvviso. E, per di più, nel bel mezzo di un’esistenza segnata non solo da riconosciuta professionalità ed umanità, ma da “un di più” di dedizione, che è, forse, all’origine della sua stessa fine. Qui si raggiunge una consapevolezza che è presente nella stessa vicenda di Gesù, e cioè il legame tra amore e morte, tra eros e thànatos. La Bibbia ci illustra che amore e morte sono i due nemici per eccellenza: non la vita e la morte, ma l’amore e la morte! E la morte, che tutto divora, trova solo nell’amore, e non nella vita, un nemico capace di resisterle, fino a sconfiggerla.

È quanto lascia intendere l’esperienza di Gesù. Il Maestro, consapevole dello scarto che esiste tra il desiderio di vivere e la smentita del morire, promette ai discepoli il suo Spirito che annuncerà “le cose future”.  Di che si tratta? Ciò che vediamo oggi è frantumato e privo di senso. Un uomo nel pieno della sua attività professionale, stimato e riconosciuto viene improvvisamente sottratto ai suoi: non è un irrazionale e sconclusionato esito della vita? Eppure la fede non si arrende all’evidenza dei fatti e sollecita una speranza che ha a che fare con Dio stesso, che rappresenta il futuro e non soltanto il passato. Credere vuol dire aprirsi allo Spirito di Gesù che ci fa certi che l’amore non passa. E che Salvatore è stato condotto dall’amore di Dio alla vita eterna. Come scrive il poeta: ”E non crediate di condurre l’amore, giacché, se vi scopre degni, esso vi conduce” (K. Gibran).