«Mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5, 13-15). Riscoprire la vocazione di ogni cristiano

Primo incontro del vescovo con il presbiterio e i diaconi permanenti
15-10-2015

«Voi fratelli siete stati chiamati a libertà». Paolo scrive ad una comunità nella quale si erano infiltrati giudaizzanti che tentavano di riportare indietro la lancette della storia. Pretendevano che i pagani convertiti al Vangelo dovessero di nuovo sottostare alla pratica della circoncisione e, per questo, screditavano Paolo, che non sarebbe stato un vero apostolo, ma un mandatario, di seconda mano; per giunta incompetente.
Paolo replica con violenti invettive; poi nel corso della lettera acquista un tono più paterno e persuasivo. Come in questo frammento, dove invita a riscoprire la vocazione di ogni cristiano. La libertà è, in effetti, la chiamata irresistibile di tutte le epoche. Peccato che resti più di frequente solo… un sogno abortito!
Paolo ci mette in guardia dal pensare la libertà come «fare quel che voglio, quando voglio e come lo voglio». «Questa libertà non divenga un pretesto a vivere secondo la carne», ammonisce. E noi pensiamo subito alle tentazioni carnali. Ma in realtà la «carne» a cui si riferisce l’apostolo è l’io assoluto, sciolto da qualsiasi vincolo e relazione, che non vuol prendere su di sé alcuna responsabilità, tantomeno alcun fardello. La tentazione più forte è affrancarsi da tutti e da tutto, giocando una partita in proprio. Ma l’esito è disastroso. Si finisce per diventare autistici, cioè chiusi in sé stessi, incapaci di cogliere la presenza degli altri, falliti.
Ecco perché Paolo propone l’antidoto: «Mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri». Il paradosso è che per essere liberi bisogna farsi schiavi! La dipendenza da Dio e dagli altri è la condizione per non girare a vuoto, per non disperdersi, per non essere risucchiati dalla noia e dalla stanchezza. Incredibile, ma vero. E Paolo incalza, citando Gesù e la sua folgorante sintesi di tutta la Legge, che consiste in un solo comandamento: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Il «come te stesso» non è tanto la misura, ma la forma con cui dobbiamo amare gli altri, con la stessa empatia, la stessa attenzione, la stessa misericordia con cui vorremmo essere amati noi.
La chiusa del frammento fa un riferimento esplicito alla triste condizione della comunità, che diventa per noi il ritratto di quello che puntualmente accade quando siamo privi della libertà autentica. «Se poi vi mordete e vi divorate a vicenda, vedete di non distruggervi gli uni gli altri». C’è una punta di sarcasmo, ma è la riprova di come allontanarsi da Dio e dagli altri conduce al patetico quadretto di un mondo segnato da cani gli uni contro gli altri. Ci aiuti santa Teresa che in un’epoca di grande fermento e difficoltà seppe riproporre al suo ordine e alla chiesa la vera libertà di Cristo. Il suo ricco epistolario svela una cinquantenne che mentre si immerge in Dio non smette di lasciarsi coinvolgere dalle altre consorelle. Anzi non può farne a meno. E lei stessa si mostra nella sua fragilità, ma anche nella sua tensione verso Dio e verso gli altri. Ha scoperto la vera libertà secondo lo Spirito.
«Menavo una vita infelicissima, perché l’orazione mi faceva meglio vedere le mie colpe. Dio mi chiamava da una parte, e io seguivo il mondo dall’altra. Le cose di Dio mi davano piacere, e non sapevo svincolarmi da quelle del mondo. Insomma, pareva che volessi conciliare questi due nemici, tanto fra loro contrari: la vita dello spirito con i gusti e i passatempi dei sensi. L’ora di orazione mi era diventata un tormento, perché, facendola io consistere nel raccogliermi al mio interno, ed avendo lo spirito non più padrone, ma schiavo, non potevo rientrare in me stessa senza portare con me tutto il cumulo delle mie miserie. Passai così molti anni, e mi meraviglio di aver potuto tanto durarla, senza mai romperla o con Dio o con il mondo» (Vita 7,17).
Questa situazione di tensione può portarci alla nostra schizofrenia. Chiediamo che la chiamata alla libertà ci spinga come Teresa a superare questa situazione di empasse.