La Liturgia «fa» l’uomo di Dio

Presentazione del libro «Ti trovo o Cristo nei tuoi sacramenti» di padre Ezio Casella
03-11-2018

Un nuovo libro di liturgia – non me ne voglia padre Ezio – non è una notizia da far accapponare la pelle. A meno che non si riscopra che cosa è la liturgia. Se c’è, infatti, una peculiarità della liturgia rispetto agli altri ambiti della fede è proprio quello di coinvolgere l’uomo nella sua interezza, con l’intelligenza certo, ma anche con il cuore e, innanzitutto, con la sensibilità. Nella liturgia ci sono gesti, suoni, odori, movimenti, luci. Entrare nella liturgia chiede di capire a fondo l’uomo, l’uomo intero: per questo è stimolante. E direi urgente, giacché la liturgia, più che la catechesi o la carità, è il luogo di più consistente partecipazione.

A partire da queste due osservazioni, all’inizio del Novecento si avviò il cosiddetto Movimento liturgico che è stato poi recepito dal Vaticano II. Il momento storico era segnato da una crisi della cultura, in cui la belle époque stava per essere spazzata via della prima Guerra mondiale, in cui le speranze del mondo liberale moderno venivano drasticamente messe in discussione (cfr. Splenger, Il tramonto dell’Occidente). L’uomo liberale era un individualista, centrato sul linguaggio dei diritti e dei doveri del singolo, che tendeva a rinchiudere la dimensione religiosa nella pura interiorità della coscienza e a negare il rilievo pubblico e comunitario della fede. In tale contesto si sviluppò la cosiddetta questione liturgica che, grazie a Maurice Festugière, Romano Guardini e Odo Casel, mise a fuoco una riscoperta: l’evento liturgico è «la quintessenza dell’esperienza religiosa cristiana» e non una formalità marginale. A Guardini si deve in particolare l’idea della formazione liturgica, che non va intesa come formazione alla liturgia, ovvero una serie di spiegazioni astratte, quanto piuttosto di una formazione che la liturgia stessa realizza rispetto a chi vi prende parte. La liturgia è un mondo essenzialmente intersoggettivo e relazionale, in cui la persona è inserita dentro una comunità. In essa la logica che regola i rapporti è una logica del dono, piuttosto che del dovere o della prestazione; il tempo non né il tempo del lavoro, né il tempo libero, ma piuttosto il tempo della festa. È uno scambio festoso di doni tra Cristo e la sua Chiesa: un admirabile commercium. Per questo va abbandonata la logica del minimo necessario: basta fare l’essenziale e farlo alla svelta – perché non servirebbero i canti, i silenzi, le luci, i fiori, e così via. La logica vera è piuttosto quella del massimo gratuito dentro tre passaggi da garantire: ascoltare la Parola, come i discepoli di Emmaus; vedere la Gloria, come sul Tabor dove i tre discepoli intuiscono la profondità della persona del Maestro; sperimentare il Mistero, cioè avvertire un’altra presenza che va oltre l’umano sentire.

La liturgia ci restituisce alla nostra umanità perché non solo ci fa capaci di avvertire e sperimentare Dio, ma ci sottrae alla deriva di un mondo tecnologico dove tutto è fatto da mani d’uomo, che ci allontanano sempre più dal contatto con la terra e con la natura. Come scriveva Ivan Illich: «Mi batto per una rinascita delle pratiche ascetiche, che tengano vivi i nostri sensi, nelle terre devastate dallo “show”, in mezzo a informazioni schiaccianti, a consigli infiniti, alla diagnosi intensiva, alla gestione terapeutica, all’invasione di consiglieri, alle cure terminali, e alla velocità che toglie il respiro». Per questo il libro che ora si va a presentare è una buona notizia, che spero aiuti la nostra Chiesa a vivere sempre di più una liturgia viva, autentica e popolare, secondo l’auspicio di papa Francesco. Il contrario – qualche volta sotto i nostri occhi – è una liturgia morta, inautentica ed elitaria. Per questo diciamo grazie a padre Ezio: per il libro certo, ma, soprattutto, per quel che ne verrà alla liturgia che si celebra nella Chiesa reatina.