Carissimi,
questa nostra Chiesa Cattedrale è ancora un gran cantiere sebbene i lavori vanno avanti di buona lena. Questo mi sembra anzitutto una provocazione per il cammino che insieme -davanti a Dio e alla storia- siamo chiamati a percorrere e per i profondi significati che, illuminati dalla Parola di Dio, siamo invitati a cogliere. Essi hanno la consistenza del Fondamento, del Principio, del Necessario, non già dell’optional o dell’irrilevante.
La Liturgia della Parola illumina ciò che stiamo celebrando, ancor di più avvolge e seduce l’intera nostra esistenza e la spinge ad essere sempre più “cristiana” e anche “ecclesiale”. Di questa Luce, assieme a voi, ne avverto infinita nostalgia.
Questo spazio sacro che qui ci ospita è singolare nella sua unicità: in nessun’altro luogo come Chiesa locale possiamo esprimere la ricchezza che qui ci raggiunge ed esprimiamo, per vocazione. La Chiesa Cattedrale rinvia subito, attraverso il ministero del Vescovo e dei Presbiteri e Diaconi uniti a lui, con tutto il Popolo santo di Dio qui convocato, al Mistero di Cristo e della Chiesa. Qui è espresso il nostro culto a Dio che, come indica Gesù alla donna Samaritana, non è legato ad un luogo, ma avviene dentro una relazione: “in Spirito e Verità”. In maniera speciale qui accade l’adorazione di coloro che sono nati dall’acqua e dallo Spirito e che da Lui intendono farsi guidare nell’adorazione del Suo santo nome nella missione della vita quotidiana, secondo la specifica vocazione ricevuta in dono dal Signore, per l’edificazione del Corpo di Cristo e per il servizio al Regno che viene in questa storia e in questo tempo, privilegiando i piccoli e i poveri, sull’esempio dell’unico Maestro Cristo Gesù. E’ Lui, con la Sua Pasqua di morte e resurrezione che continua ad attirarci a sé e tra di noi. Non si tratta di convinzione o convenienza psicologica, né di somiglianza caratteriale, nemmeno di vedute spirituali o pastorali simili a unirci ma è lo Spirito stesso che ci rende, nella Carità, Suo Tempio, Sua casa. Se così non fosse il fondamento sarebbe assai debole.
I cristiani sono liberati da quel senso magico o sacrale legato agli spazi. Non a caso Origene nel Contra Celsum riporta l’accusa fatta già ai cristiani del ll secolo che non si curavano dei templi, ben convinti che il vero Tempio è solo Cristo e che i credenti, pur vivendo quaggiù, sono incamminati come Pellegrini verso quella visione beata in cui pure noi come l’Autore dell’Apocalisse non vedremo alcun tempio perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello, sono il suo Tempio (Ap 21,22). Tutto questo non smininuisce, anzi!, la valenza simbolica del tempio stesso.
A tal proposito Sant’Agostino scrive: “Quello che qui avveniva mentre questa casa si innalzava, si rinnova quando si radunano i credenti in Cristo. Mediante la fede, infatti, divengono materiale disponibile per la costruzione come quando gli alberi e le pietre vengono tagliati dai boschi e dai monti. Quando vengono catechizzati, battezzati, formati sono come sgrossati, squadrati, levigati fra le mani degli artigiani e dei costruttori”. E l’Apostolo Paolo, a ragione (mi rivolgo soprattuto a noi ministri ordinati) ricorda sempre nel cap. 3 della 1 Lettera ai Corinti: “Cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso”. È la convinzione ineliminabile che fa dire ancora a Paolo: “Ora né chi pianta né chi irriga è qualche cosa, ma è Dio che fa crescere”. Quanto vorrei che accompagnasse di più anche noi questa certezza, la rilevanza del primato di Dio, capace di liberare positivamente tante nostre riserve, di abbandonare zavorre e pesi inutili, per guardare con ammirazione l’opera che certamente anche oggi Dio va conducendo nonostante la povertà dei nostri mezzi e delle nostre persone, sapendoci però mai abbandonati dalla Provvidenza e della Bontà della Trinità che, spesso in maniera misteriosa, ci viene incontro.
In questo Chiesa Cattedrale – Cantiere che si prepara a diventare sede giubilare anticipando così anche il giubileo per l’VIII centenario della sua Dedicazione, vorrei che cogliessimo, cari fratelli e sorelle, ancora un’ultima indicazione che ci deve tenere desti e concordemente operosi: grazie ai lavori che sono in atto risplenderà sempre di più la bellezza che già ora qui soggiace. Ecco, vorrei che ci impegnassimo di più a indicarci anche esistenzialmente la “via della bellezza” (via pulchritudinis)! Annunciare, celebrare e testimoniare Cristo equivale a mostrare che credere in Lui e seguirLo è un’opera bella, anzi la più bella che ci sia toccata in sorte, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo al grigiore che spesso respiriamo. Abbeveriamoci sempre a questa Bellezza, cari amici nel Signore, e trasfondiamola anche attraverso le nostre vite, le nostre comunità, le nostre relazioni. Facciamone dono a questo territorio che insieme abitiamo, alla Città e ai paesi, sino al più piccolo di essi. E non per proselitismo ma perché questa attrazione eucaristica che qui massimamente sperimentiamo ci scaraventi fino alle estreme periferie non solo fisiche, ridandoci la gioia di un apostolato che non sta a guardare come vanno a finire le cose ma si fa prossimità, tenerezza e vicinanza verso tutti.
Permettetemi di concludere con una preghiera di mons. Tonino Bello:
Spirito di Dio, fa della Tua Chiesa un roveto che arde di amore per gli ultimi. Alimentane il fuoco col tuo olio, perché l’olio brucia anche.
Dà alla tua chiesa tenerezza e coraggio. Lacrime e sorrisi. Rendila spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero. Disperdi la cenere dei suoi peccati. Fa un rogo delle sue cupidigie. E quando, delusa dai suoi amanti, tornerà stanca e pentita a Te, coperta di fango e di polvere dopo tanto camminare, credile se ti chiede perdono. Non la rimproverare. Ma ungi teneramente le membra di questa sposa di Cristo con le fragranze del tuo profumo e con l’olio di letizia. E poi introducila, divenuta bellissima, senza macchie e senza rughe, all’incontro con Lui perché possa guardarlo negli occhi senza arrossire, e possa dirgli finalmente: “Sposo mio”.
+ Vito Piccinonna