Interpretazioni del presente ecclesiale alla luce dei sogni di Papa Francesco in Querida Amazzonia

Intervento al convegno «La Chiesa alla prova della pandemia» presso la Comunità di Camaldoli
25-06-2020
  1. “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”

Un mural di Diego Rivera (1886-1957) nel Palacio Nacional di Città del Messico raffigura un uomo seduto su una macchina che manovra tutto ciò che gli sta intorno, dall’universo alle molecole, dalla natura agli animali[1]. È la plastica descrizione della modernità: l’uomo al centro dell’universo ha cercato disperatamente di controllare ogni cosa, e provandoci ha perso il controllo[2]. In realtà – come sostiene il neurobiologo S. Mancuso – ignoriamo la gran parte della realtà: per esempio, il mondo complesso delle piante, che da milioni di anni hanno sviluppato straordinarie capacità di adattamento al clima, di relazione e di intelligenza diffusa[3]. Oggi, la terra, la nostra ‘casa comune’, ci impone dunque una riflessione per sopravvivere a noi stessi. L’uomo al centro di tutto è stato un sogno di progresso[4] che si è trasformato in un incubo. Dovremmo, dunque, scomparire? No, evidentemente, ma riposizionarci certamente. Non più al centro, ma all’interno di un eco-sistema di cui l’85% è composto dal mondo vegetale, il 3% dagli esseri umani e per il resto dal mondo animale. Solo uno “sguardo decentrato” farà emergere un nuovo sviluppo sociale, una diversa cultura, un’altra relazione con la natura, una singolare forma ecclesiale.

Il COVID – 19 ha impresso una forte accelerazione a processi già in atto. La pandemia ha funzionato da catalizzatore di dinamiche esplose nelle loro interne contraddizioni. Che lavoro, casa, ambiente o salute, comunità e chiesa fossero nodi cruciali lo si sapeva da tempo. Ma quel che è accaduto ha mostrato che non possiamo più far finta di non vedere quanto insostenibile sia un futuro che oggi appare come il nostro passato. È evidente che dobbiamo cambiare, ma è ancora più chiaro che la vera questione è se abbiamo voglia di farlo. Non ci sono uscite di sicurezza. Anche perché ogni volta che c’è una crisi si fa strada un’inedita possibilità. Così avvenne, ad esempio, dopo la grande depressione del 1929 che aprì le porte ad una politica economica radicalmente diversa, quella keynesiana, che diede alla luce il welfare State (il rapporto Beveridge è del 1942) e il sogno di una casa comune europea. Furono queste le basi di quello straordinario periodo di prosperità e di benessere economico (almeno in Occidente) degli anni del boom economico nel secondo dopoguerra. Dar voce ad una nuova immaginazione del reale è quanto si propone l’Esortazione Apostolica postsinodale: “Querida Amazonia” che reca la data del 2 febbraio 2020, quando il virus cominciava già a serpeggiare nel nostro Belpaese. Agli osservatori la scelta prima del Sinodo panamazzonico (Roma, 6-27 ottobre 2019) e poi dell’Esortazione di concentrarsi sul bioma Amazzonia era sembrata priva di rilevanza globale. In realtà, dietro di essa si cela la più importante posta in gioco. Siamo in una fase ancora in piena pandemia globale in cui è più facile comprendere che “tutto è connesso” (LS 16; 91; 117; 138; 240)[5] e che l’essere umano non è un individuo isolato, ma una persona in relazione. Una svolta sociale e culturale che prelude ad una transizione ecologica[6] che è in grado di riorientare anche lo stesso servizio ecclesiale nella direzione di ogni uomo e di tutti gli uomini[7].

  1. “Desborder”: il cuore dell’Esortazione

Papa Francesco ha affermato che la sua intenzione con QA non era di sostituire né di ripetere il Documento finale, elaborato dal Sinodo[8], ma di offrire l’apporto di un “breve quadro di riflessione” (QA 2) all’intero processo sinodale e “presentare ufficialmente” il Documento, invitando a leggerlo “integralmente” (QA 3). Il quadro che il Papa apporta al Sinodo è “un quadro che trabocca”. Desborde, che in italiano si può rendere con “straripamento” o “traboccamento”, è, in effetti, una parola che ricorre cinque volte in QA e ne rappresenta il motore, o meglio, il “cuore pulsante”[9]. Solo così è possibile risvegliare “una nuova e maggiore creatività”, e “scaturiranno, come da un fonte generosa, le risposte che la dialettica non lasciava vedere” (QA 105). Francesco ritiene che proprio l’Amazzonia costituisca in sé una sfida per superare prospettive limitate, soluzioni pragmatiche che rimangono chiuse in aspetti parziali e cercare piuttosto percorsi più ampi ed audaci. Per questo nel suo intervento conclusivo, papa Francesco ha detto: “Poiché non hanno il coraggio di stare con il mondo, loro credono di stare con Dio. Poiché non hanno il coraggio di impegnarsi nelle opzioni di vita dell’uomo, credono di lottare per Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio (Ch. Peguy)”. Ed ha aggiunto: “Mi ha fatto molto piacere che non siamo caduti prigionieri di questi gruppi selettivi che del Sinodo vogliono vedere solo che cosa è stato deciso su questo o su quell’altro punto intra-ecclesiastico, e negano il corpo del Sinodo che sono le diagnosi che abbiamo fatto nelle quattro dimensioni”.

In effetti, la struttura scelta per organizzare il materiale è stata suggestiva, come una sorta di “sogni a fontana”: i capitoli dell’Esortazione sono quattro grandi sogni che la “cara Amazzonia” ispira al Papa. Così come i sogni, i temi traboccano uno nell’altro come l’acqua di una fontana da una vasca all’altra, ciascuna delle quali resta piena in sé e, contemporaneamente, si riversa nella successiva. Quando finisce il “sogno sociale”, “nasce il sogno successivo”, quello culturale (QA 27): da questo, a sua volta, “si fa strada il sogno successivo”, quello ecologico (QA 40), “sogno fatto di acqua” (QA 43-46), da cui “prende avvio” il “sogno ecclesiale” (QA 60).

Il tema dei sogni evoca il passo del profeta Gioele: “Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (Gl, 3,1). In tal modo papa Francesco delinea quella sorta di “traboccamento” intergenerazionale che consente al fiume della storia di procedere. Scrive, infatti: “Abusare della natura significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle sorelle, della creazione e del Creatore, ipotecando il futuro” (QA 42).  Ma c’è dell’altro. Nella scelta dei “sogni” piuttosto che dei “temi” e soprattutto nello sguardo contemplativo, che si esprime talora in forma poetica[10], si fa strada un approccio che intende contestare quello efficientista, tecnocratico e consumista. L’invito sotteso è una conversione dello sguardo sull’Amazzonia nella direzione dei quattro sogni che corrispondono alle cinque conversioni del Documento finale. Ripercorriamo allora queste quattro direzioni di cui i sogni sono l’immagine.

2.1     Ascoltare il grido della terra e quello dei poveri

“Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità promossa” (QA 7).

Il primo sogno di papa Francesco è ritrovare quella sapienza ancestrale che fa del “buon vivere” l’alternativa al moderno ed efficientistico “vivere sempre meglio”. Le cause scatenanti la selvaggia devastazione del bioma sono il disboscamento e l’estrattivismo. Si delinea così il primo grande principio da cui ripartire: “oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (LS 49). In passato si è presentata l’Amazzonia come “un’immensità selvaggia da addomesticare” (QA 12), ma questa ipoteca colonialista non sta in piedi e richiede di prendere le distanze anche da taluni atteggiamenti che in passato possono aver mescolato l’evangelizzazione ad interessi coloniali[11]. Per affrontare la sfida di una società che rischia il collasso nelle bidonvilles metropolitane (schiavitù, sfruttamento sessuale e tratta di esseri umani) si impongono due vie: protagonismo e comunità. I veri attori sociali sono gli indigeni che vanno rispettati e valorizzati (QA 40)[12]. Ma c’è bisogno pure che si sviluppi il senso della comunità e del dialogo sociale, messi a dura prova dai popoli indigeni che rischiano di dividersi e di perdere il senso della lotta comune.

  • La dialettica tra foresta e città

“Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana” (QA 7).

Se il sogno sociale richiede una voce profetica, si impone un sogno culturale che sappia mettere in crisi la tentazione neo-colonialista che si annida dietro la globalizzazione. Popoli abituati ad avere relazioni umane “impregnate dalla natura circostante” (QA 20) sono costretti a vivere in città nelle periferie o sui marciapiedi in una situazione di degrado umano che fa perdere loro i riferimenti di sempre. “Così si interrompe la trasmissione culturale di una saggezza che ha attraversato i secoli, di generazione in generazione” (QA 30). Il Papa è ben consapevole che dietro i più di 110 popoli indigeni in stato di isolamento volontario (PIAV) si nasconda un’altra insidia che è il particolarismo indigeno. Dichiara apertamente che non intende “proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato” (QA 37). Il dialogo tra città e foresta è necessario, ma deve adattarsi alla ricchezza poliedrica delle culture indigene, cioè alla varietà dei gruppi umani, degli stili di vita e delle visioni del mondo che si riflettono nei diversi contesti geografici e culturali: i villaggi di pescatori, i villaggi di caccia, quelli di raccolta nell’entroterra o i villaggi che coltivano le terre alluvionali.

  • Cura delle persone e degli ecosistemi

“Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste” (QA 7).

Così si fa strada il ‘sogno ecologico’ che rivela una profonda sintonia ovviamente con la Laudato sì, ma anche con il magistero di Benedetto XVI, il quale ha detto che “oltre all’ecologia della natura c’è un’ecologia che possiamo chiamare umana, che a sua volta richiede una ‘ecologia sociale” (QA 41). In una terra come l’Amazzonia che è fatta di acqua e di piante è più facile cogliere l’interrelazione profonda tra uomo e natura[13]. Di qui l’obbligo di gestire il territorio in modo sostenibile senza l’ingenuità di sottostimare gli interessi economici degli imprenditori e dei politici locali, come pure degli interessi economici internazionali. Ci sono attacchi alla natura che hanno conseguenze per la vita delle popolazioni: dai megaprogetti non sostenibili ai progetti idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento massiccio, monoculture, infrastrutture viarie, infrastrutture idriche, ferrovie, progetti minerari e petroliferi.

  • Inculturazione, promozione umana, liturgia, ecumenismo, donna

“Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici” (QA 7).

Il sogno ecclesiale che si sprigiona dai precedenti ha in America Latina una sua storia: Medellin (1968) e la sua applicazione in Amazzonia a Santerém (1972), e poi Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). Il cammino continua con l’obiettivo di “sviluppare una Chiesa dal volto amazzonico”. La parola-chiave di questo processo – che ritorna almeno una ventina di volte – è inculturazione. Il cristianesimo non sposa mai alcuna cultura, ma tutte le attraversa per poter arrivare in modo comprensibile a tutti. Ciò significa che esiste un rapporto dialettico tra fede e cultura. Da una parte, lo Spirito Santo feconda la cultura con la forza trasformatrice del Vangelo; dall’altra, la Chiesa si arricchisce della cultura che incontra, di ciò che lo Spirito aveva già seminato in essa. Il Papa riconosce che nelle culture precolombiane c’è un retaggio ancestrale che va purificato, ma non eliminato, anzi valorizzato. E chiede di non qualificare come superstizione o paganesimo alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita dei popoli. Bisogna operare un discernimento che viene così descritto: “un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazioni religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di rispondere a partire da una spiritualità incarnata” (QA 79).

L’inculturazione di papa Francesco non ha nulla di teorico e di intellettuale, ma deve avere anche “un timbro fortemente sociale ed essere caratterizzata da una ferma difesa dei diritti umani, facendo risplendere il volto di Cristo che ‘ha voluto identificarsi con speciale tenerezza con i più deboli e i più poveri” (QA 75). Diventa chiaro così che c’è un nesso tra evangelizzazione e promozione umana come già affermato in Evangelii gaudium (178). Il che significa che sociale e spirituale, contemplazione e servizio vanno di pari passo.

L’inculturazione in Amazzonia, poi, trova nella liturgia un banco di prova esigente perché specialmente nelle sue giungle e nei suoi luoghi più remoti, ci si interroga su come garantire l’Eucaristia. Senza di essa non si dà comunità cristiana. Perciò “è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di vita nuova e del Sacramento del perdono” (QA 89). Qui si apre una riflessione che mentre ribadisce l’unicità del sacerdozio ministeriale intende valorizzare l’ampia ministerialità della Chiesa, fino a ribadire, come afferma il CJC (517) che è possibile affidare l’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono o ad un’altra persona che non abbia la qualifica di sacerdote.

Infine, l’inculturazione chiama in causa anche la dimensione ecumenica e interreligiosa che invita a “trovare spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri” (QA 106). Ciò che ci unisce, infatti, è ciò che ci permette di essere nel mondo senza che ci divorino l’immanenza terrena, il vuoto spirituale, il comodo egocentrismo, l’individualismo consumista e autodistruttivo” (QA 108). Con gli altri cristiani, poi, “ci unisce la convinzione che non si esaurisce tutto in questa vita, ma che siamo chiamati alla festa celeste dove Dio asciugherà ogni lacrima e raccoglierà quanto abbiamo fatto per coloro che soffrono” (QA 109).

Le donne rappresentano nell’ambito di questa nuova inculturazione della fede il soggetto fondamentale, a partire dalla constatazione che in Amazzonia chi ha trasmesso la fede per molto tempo, senza che nessun prete passasse, anche per decenni, sono state le donne.  Ciò è avvenuto grazie alla presenza di “donne forti e generose: donne che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito Santo” (QA 99). Per questa ragione le donne dovrebbero “poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali”, che “comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo. Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile” (QA 103).

 

  1. Idee“ingenue” sulla vita ecclesiale post-Covid -19

Se dovessi richiamare alcune “idee ingenue”[14], in grado di migliorare la vita ecclesiale, alla luce di QA, vorrei far riferimento a quattro “conversioni” da attuare.

La prima è una conversione sociale. La provocazione di papa Francesco sulla questione più profonda del nostro tempo è la seguente: l’idea che ha alimentato la crescita degli ultimi secoli – quella secondo cui il semplice perseguimento dell’interesse individuale e la nostra capacità tecnica sono sufficienti per creare ricchezza collettiva – si rivela sempre più inadeguata. Al punto in cui siamo, è necessario un cambio di passo. Abbiamo bisogno di ricomporre su basi nuove la possibilità di espressione dell’io con la cura del contesto circostante; l’organizzazione dei sistemi tecno-economici con le esigenze dell’ecosistema; le nostre certezze scientifiche con lo spazio del mistero. Solo per questa via l’essere umano può arrivare a capire che la condizione di libertà che lo caratterizza non cancella, bensì esalta, la sua responsabilità – cioè il suo essere in relazione – rispetto a ciò che lo circonda. È questa la conversione che il Papa chiede. Una conversione che ha bisogno, per potersi realizzare, di un tipo d’uomo diverso da quello oggi dominante. E di gente di buona volontà che insieme dia testa, gambe e cuore ad un mondo diverso. Tale è la conversione ‘sociale’ da attuare: da individuo a persona.

L’altra conversione è quella culturale che segna il passaggio dalle cose alle relazioni. Il nostro modo di pensare è ancora dominato da una filosofia profonda e implicita, di natura aristotelica e newtoniana, ormai obsoleta. Si immagini una grande scatola, lo spazio, in cui le persone-mattoncini interagiscono, in modo lineare e irreversibile, lungo la freccia del tempo. Il paradigma aristotelico-newtoniano ha avuto i suoi meriti, ma oggi non risponde più alle esigenze di una società matura dell’informazione, cioè una società in cui le aspettative dei suoi membri assumono il digitale come un fenomeno scontato. Il mondo di prima è organizzato come un Lego: anzitutto ci sono le cose (sostantivi), poi ci sono le proprietà delle cose (aggettivi) e infine i comportamenti delle cose (verbi). Nel mondo di oggi si impone la relazione e si guarda al mondo come a una rete, non come a un meccanismo. In chiave ecclesiale si comprendono alcuni assiomi di Evangelii gaudium come, ad esempio, che “il tempo è superiore allo spazio”, oppure che “non dobbiamo occupare posti, ma avviare processi”. Se la chiesa si libererà dall’ipoteca cosificante di prima e svilupperà una maggiore attenzione alla dimensione relazionale troverà non solo la sua originaria fisionomia di segno e strumento dell’unione tra Dio e l’uomo, ma anche la dinamica che va accuratamente coltivata e rilanciata in ogni suo gesto, parola, pensiero.

La terza conversione è ecologica ed ha a che fare con il passaggio dal fare al contemplare. Il che consente di ritrovare uno sguardo autentico che cambia il nostro approccio. Siamo troppo schiacciati su programmi da definire o agende da attuare. L’invito in materia di evangelizzazione è quello di “rompere tutti gli specchi di casa[15]” e, cioè, sottrarsi all’autoreferenzialità, aprendosi ad una capacità contemplativa che rende persuasi di dove siamo e di che cosa sia davvero determinante. Qui l’accento è posto su una nota distinzione aristotelica tra “agire”, dare un senso, una direzione di marcia al proprio stare al mondo, e “fare”, limitarsi ad eseguire un compito. Venendo alla chiesa per tornare ad essere presente nella città dell’uomo, dovrà riscoprire la sapienza biblica e la centralità della categoria di creazione nel suo annuncio di fede.

La quarta conversione è quella pastorale e cioè il passaggio da un’impostazione prevalentemente maschile a una molto più femminile, cioè, passare dal potere alla cura. Non è una questione di pari opportunità, né l’esito ultimo del femminismo, ma la riscoperta della reciprocità inscritta nella dinamica di base uomo/donna. La chiesa ha tratto dal modello culturale prevalente le dinamiche dello Stato moderno ed ha enfatizzato i ruoli e le forme del potere, dimenticando la sua originaria dimensione terapeutica che è una componente non secondaria dell’evangelizzazione se è vero che il Maestro inviando i suoi dice loro: “Curate i malati e dite: è vicino a voi il Regno di Dio”. Di qui la necessità di ritrovare la concretezza, la dedizione e il disinteresse del genio femminile per condurre la chiesa verso uno stare al mondo più vicino alla cura che al potere.

Concludo con una lunga citazione di un giovane teologo europeo che sul finire degli anni ’60 aveva lucidamente intuito l’epilogo di una transizione, di cui facciamo ancora fatica dopo più di cinquant’anni ad accettare le conseguenze. Scriveva J. Ratzinger: “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità… Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza… Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamente il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo; lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto… A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Se deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico… ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte” (cfr. J. Ratzinger, Discorsi radiofonici, 1969).


[1] “L’uomo controllore dell’universo” (“El hombre controlador del universo”) fu eseguito da D. Rivera nel 1934. Il quadro misura 4,80 x 11,45 ed è conservato nel Palacio de Bellas Artes. Il contenuto del murale è apertamente politico, al punto che quando lo realizzò nel Rockeffeller Center di New York, nella Quinta Avenue, fu rimosso. Al centro, infatti, vi è un uomo idealizzato che controlla l’universo, posizionato al crocevia di due ideologie contrapposte. Sulla parte sinistra: la critica del mondo capitalista esposto come una lotta di classe in mezzo alla repressione e guerra, dove C. Darwin rappresenta lo sviluppo della scienza e della tecnologia, e la scultura greco-romana, la religione e il pensiero occidentale in contrasto con l’avanzar dei soldati della prima guerra mondiale. La sezione di destra mostra una visione idealizzata del mondo socialista, con i lavoratori della Piazza Rossa, guidati da Lenin, e con la presenza di K. Marx, F. Engels, L. Trotsky, e B. D. Wolfe.

[2] Cfr. M. CUCINELLA, Inimmaginabile, in AggSoc giugno-luglio 2020, 455.

[3] Cfr. S. MANCUSO, L’incredibile viaggio delle piante, Bari, 2018

[4] P. Pasolini nei suoi Scritti Corsari istituisce un confronto tra progresso e sviluppo, connotando il progresso di valore positivo. Progresso sarebbe una parola meravigliosa che non è più utilizzata, indica valori condivisi, distribuzione della ricchezza e una società meno prigioniera dell’inutile. In realtà, prima dello scrittore friulano, era stato Paolo VI nella Populorum progressio a parlare in senso inverso di sviluppo come opposto alla crescita e al progresso intesi in senso meramente quantitativo.

[5] Nell’Aula sinodale mi ha colpito il canto che più volte è risuonato per bocca degli uditori laici che in brasiliano facevano eco alla Laudato sì con queste parole: “Tudo està interligado, come se fossemos um, tudo està interligado, nesta casa comun” (Tutto è interconnesso, come fossimo una cosa sola, tutto è interconnesso in questa casa comune).

[6] Cfr GAEL GIRAUD, Transizione ecologica, Verona 2019 (3 ristampa)

[7] Cfr. T. HALIK, Il segno delle Chiese vuote. Per una ripartenza del cristianesimo, Milano, 2020; G. ZANCHI, I giorni del nemico. Il grande contagio e altre rivelazioni, Milano, 2020.

[8] ASSEMBLEA SPECIALE DEL SINODO DEI VESCOVI PER LA REGIONE PANAMAZZONICA, Documento finale: “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale, 26 ottobre 2019

[9] Cfr. D. FARES, Il cuore di “Querida Amazonia”. “Traboccare mentre si è in cammino” in Civ Catt 2020 I 532-546

[10] “Coricati all’ombra di un vecchio eucalipto, la nostra preghiera di luce s’immerge nel canto di fronde eterne” (QA 56) è una citazione di Sui Yun (Katie Wong Loo), poetessa amazzonica di origine cinese

[11] Va detto per inciso, che Paolo III con la bolla Veritas ipsa condannava le tesi razziste, riconoscendo agli indiani, cristiani o meno, la dignità della persona umana, il diritto ai loro possedimenti e proibendo che fossero ridotti in schiavitù (cfr. QA, nota 17)..

[12] Cfr. LS 144:”E’ necessario assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura”.

[13] “L’Amazzonia è una totalità multinazionale interconnessa, un grande bioma condiviso da nove paesi: Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela e Guyana Francese” (QA 5).

[14] Cfr. L. FLORIDI, Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica, Milano, 2020.

[15] Cfr. FRANCESCO; Papa Francesco: “Rompete tutti gli specchi di casa” in CivCatt II 471-479 /4079, 6/20giugno 2020