II Domenica di Natale

(Sir 24, 1-4.8-12; Sal 147; Ef 1,3-6.15.18; Gv 1, 1-18)
03-01-2021

«Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo… illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati». Paolo ci aiuta a riscoprire «la distinzione fra speranza e aspettativa» (Ivan Illich). Viviamo in un mondo di aspettative che si rovesciano in delusioni, come l’anno appena trascorso. Doveva essere “un anno bellissimo” (!). Abbiamo visto come è andata a finire. La speranza è altra cosa perché non vuol dire aspettare, ma tendere verso una meta, sbilanciarsi, protendersi, proiettarsi al di là della situazione. D’altra parte,  – e lo dico pensando ai giovani del Meeting connessi – «essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro» (Bob Dylan). Perciò più che lasciarsi sopraffare da sfiducia, diffidenza, paura – cose tutte che servono al potere per dominarci – dovremmo lasciarci ispirare dalla speranza. Il prologo dell’evangelista Giovanni ci offre tre indicazioni per rintracciarla nel mondo.

«In principio era il Verbo». Sembrano parole altisonanti che vengono da lontano, ma ci assicurano la prima condizione della speranza che è la promessa. Dire che c’è il Verbo, cioè la Parola, vuol dire che non esiste il caos o la sfortuna (sic!), ma c’è un senso, cioè una ragione. Come anche lascia intendere il testo della prima pagina: il Logos è l’altro nome della Sapienza con cui Dio ama la sua creazione e non può abbandonarla. Purtroppo, la tradizione cristiana ha talora collegato l’incarnazione più al peccato che alla creazione, senza rendersi conto che in questo modo rischiava di considerare più forte Adamo che non Dio. Dunque, la speranza nasce da una promessa: il mondo è stato creato dall’amore e non dal caso.

«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Qui è il vertice del cristianesimo e la ragione per cui personalmente credo in Dio. Credo in Dio perché credo in Gesù di Nazareth, perché Gesù, in quanto parola di Dio, non è una parola vuota, secondaria, che non dice nulla, ma è una parola luminosa, intelligente, una parola che incanta, una parola nella quale si può scoprire una ragione, una logica. La speranza è una virtù, cioè una forza che nasce solo dall’incontro con Gesù Cristo.

«La luce splende nelle tenebre, ma i suoi non l’hanno accolta». Il realismo della speranza non sopporta false illusioni. Il mistero, a pensarci, non è tanto Dio, ma l’uomo. Perché egli preferisca le tenebre alla luce, il male al bene, la morte alla vita. E, tuttavia, neanche l’ostinazione umana può bloccare Dio. Per questo la speranza oltre che promessa e virtù è anche costruzione paziente e quotidiana che coincide con il nostro cambiamento. Perché se non cambiamo noi, non cambia niente intorno a noi.