Giovedì Santo

(Es 12, 1-8.11-14; Sl 115; 1 Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15)
14-04-2022

Fate questo in memoria di me”, lascia scritto l’Apostolo Paolo, come fosse una indicazione vincolante. Ma che cosa precisamente il Signore ha ordinato di ripetere? Sicuramente non la cena pasquale, nel caso fosse stato una cena pasquale quell’ultima cena. La Pasqua – come narrato dalla pagina dell’Esodo – era una festa annuale, la cui celebrazione ricorrente in Israele era chiaramente normata e legata ad una data precisa. Il comando di Gesù, in realtà, si riferisce soltanto a ciò che nel suo agire in quella sera era una novità: la preghiera di benedizione e lo spezzare il pane. Sarà questa duplice memoria che darà vita al “dono mattutino” (Agostino), che è l’Eucaristia, nel giorno del Signore, cioè alla domenica. Questa, infatti, prende il posto del sabato e diventa l’appuntamento irrinunciabile dei cristiani.

All’inizio sta, dunque, la berakha, cioè la preghiera di benedizione e di ringraziamento della tradizione ebraica. Lodare e ringraziare sfortunatamente non fa parte del vocabolario corrente che si muove a suo agio tra la critica e la rivendicazione. La lode è sparita e con essa lo stupore e l’incanto per la vita. Loda e ringrazia, infatti, chi sa che il semplice “esserci” è già esso stesso un dono, che non è garantito in automatico. Paradossalmente, l’esperienza del limite che abbiamo avvertito acutamente col Covid e ora con la guerra aiuta a ritrovare la possibilità della lode e del ringraziamento. Educarsi a ciò fa crescere persone che smettono di essere perennemente in credito con la vita e valorizzano le risorse di cui dispongono invece che imprecare contro la sorte.

Il secondo gesto è “spezzare il pane”, che è la funzione propria del padre di famiglia che divide tra tutti il necessario per vivere.  E’ questo anche il gesto dell’ospitalità col quale si fa partecipare lo straniero alle cose proprie, accogliendolo nella comunione conviviale. Spezzare e condividere: proprio il condividere crea comunione. Questo primordiale gesto umano del dare, del condividere ed unire, ottiene nell’ultima cena di Gesù una profondità tutta nuova: Egli dona sé stesso. Si comprende così che la carità non è un aspetto separato dalla preghiera nel cristianesimo. Nell’Eucaristia la dimensione orizzontale e quella verticale sono, infatti, collegate inscindibilmente. Ringraziare e condividere sono la nuova forma della vita cristiana che d’ora innanzi plasma la comunità cristiana.

Perché nel cristiano l’avvertenza del dono della domenica si va eclissando, a vantaggio di un generico week end dove la domenica cede il passo al venerdì dello sballo e al sabato del villaggio? Perché senza lode e senza condivisione la memoria del Maestro si attenua fino a eclissarsi completamente. Contemplare l’Eucaristia ci “fa ritrovare un luogo di libertà, di una libertà che sia qualcosa di più che semplice tempo libero ed evasione. E’ questa vera libertà ciò di cui siamo tutti in ricerca” (J. Ratzinger).