Esequie di mons. Luigi Bardotti

Festa di San Luca evangelista (2 Tm 4, 10-17b; Sal 145; Lc 10, 1-9)
18-10-2016

Soltanto lo scorso 24 settembre don Luigi mi aveva scritto una lettera all’approssimarsi dei suoi 75 anni. Nel terminare, annotava: «Ho scritto con la vecchia penna stilografica del beato Luigi Novarese: la penna dei miei momenti importanti». Avrei dovuto comprendere da questo dettaglio innocente che quelle parole erano ben più che la semplice rinuncia all’incarico di parroco di Santa Lucia. Si trattava, in realtà, del suo testamento. Rileggendolo ora si coglie facilmente la trama della sua vita. Scriveva: «Ringrazio Dio e la Madonna di quanto ho avuto: non è stato poco. Ho cercato di valorizzare al massimo le persone e le cose, le opportunità che ho avuto». E aggiungeva: «Per i miei 50 anni di sacerdozio ho ricevuto e spero anche testimoniato la mia riconoscenza anche a questa bella Chiesa di Rieti». La gratitudine è la prima qualità che don Luigi ci ha insegnato. Una merce oggi assai rara, quando a prevalere sono spesso il risentimento e il piangersi addosso, dimenticando le chances che ciascuno ha ricevuto a piene mani. La stessa dinamica si coglie nelle parole di Paolo al suo giovane discepolo Timoteo. L’apostolo è in carcere, abbandonato dai suoi amici, ma non ha perso nulla della sua fede e del suo coraggio nell’annuncio del Vangelo. La gratitudine non è il lusso di chi ha troppo, ma il coraggio di chi si fa piacere quello che sembra poco. La vitalità di don Luigi lo ha reso un riferimento per intere generazioni di ragazzi, ma nasce da questa “magnanimità”, appresa alla scuola di don Novarese, che lotta contro l’emarginazione dei disabili e degli ammalati. Questa energia vitale è il capovolgimento delle sorti negative lontano dalla rassegnazione e vicina all’azione. Nel “bel san Domenico”, ove ci troviamo, è facile capire la forza di don Luigi, che ha trasformato una chiesa diruta in un tempio della fede, ma anche della musica e dell’arte.
«Ora penso spesso a cosa farò nella Chiesa celeste, ove spero di giungere nonostante i miei limiti». Si chiudeva così la sua lettera. Se gli effetti dell’azione pastorale e culturale di don Luigi sono sotto gli occhi di tutti, la linfa segreta della sua vita sta in questo semplice pensiero intorno al “cosa farò”. Fa un certo effetto pensare a cosa farà ora don Luigi. Stregati tanto dall’attivismo spesso inutile, quanto, all’opposto, dall’inerzia sempre ciarliera, ci meravigliamo di una tensione così nitida e di una speranza così coinvolgente. Eppure qui sta il segreto di un uomo come don Luigi: l’attesa di quello che farà ancora, grazie a Dio. La fede è tutta qui. E noi siamo grati a don Luigi, perché ci ha rischiarati con la freschezza quasi fanciullesca, a volte perfino ingenua, della sua testimonianza. È questo il tratto che lo accredita come un discepolo autentico, secondo le parole del Maestro: «Ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi».