Consiglio spirituale dopo il rosario: «bisogna reagire insieme e non da soli»

Breve meditazione del vescovo dopo il rosario in diretta streaming dalla cappella della Madonna del Popolo nei giorni del Covid-19
06-05-2020

Il 6 maggio 1976, cioè 44 anni fa, poco dopo le 21, in Friuli un terremoto di 6.4 della scala Richter rase al suolo Gemona, Venzone, Buja e Majano, causando quasi 1000 morti e circa 80mila sfollati. Ma il colpo di grazia era ancora di là da venire. Il 15 settembre dello stesso anno, infatti, venne giù anche il campanile di Venzone e i pochi muri rimasti in piedi crollarono definitivamente. Quando le speranze sembravano del tutto sepolte, in realtà, si avviò la ricostruzione: il cosiddetto “modello Friuli” che in nome del “dov’era com’era” numerò ogni pietra per rimettere in piedi non solo i monumenti, ma anche le case di ciascuno. Ovviamente, non avvenne tutto in un baleno. Il Duomo di Venzone che è, insieme, a quello di Gemona il simbolo della ricostruzione per anastilosi, cioè con i pezzi originali rimessi al loro posto uno per uno, iniziò il suo iter di catalogazione delle pietre nel 1982; nel 1988 partì il cantiere e nel 1995 il Duomo fu riconsegnato finalmente alla Città.

Ricordare il terremoto del Friuli non è solo un atto dovuto in questo giorno, ma anche una speranza concreta che mai deve abbandonarci, anche se nel centro Italia non registriamo ancora i risultati sperati, in base alle tante promesse. Occorre però non dimenticare che il pregio del modello Friuli furono una serie di concause. Tra le tante due che vanno richiamate: la prima fu lo Stato che si impegnò direttamente con la nomina di un Commissario, cui fu dato la possibilità di agire “in deroga a tutte le leggi ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato; la seconda furono i friulani stessi, nelle cui vene scorre sangue asburgico e che si dimostrarono attivi e non passivi. L’augurio è che anche da noi dove si registra – complice anche il coronavirus – un’ulteriore battuta d’arresto si acceleri sia nella direzione di uno Stato più snello e veloce, sia nella direzione di cittadini più partecipativi e creativi.

Una cosa insegnano tragedie come quelle del Friuli o di Amatrice ed Accumoli: bisogna reagire insieme e non da soli, bisogna farlo stando tutti dalla stessa parte e mai dividendosi. La preghiera è che il tempo che passa non indebolisca, ma alimenti il desiderio di rigenerare la nostra terra. Ancor di più facendone un’occasione di sviluppo dopo questa crisi della pandemia.