A don Lorenzo Blasetti, che tra fine anni Ottanta e inizio Novanta si occupava in diocesi della Pastorale giovanile (oltre che dell’Ufficio catechistico), abbiamo chiesto un ricordo di padre Bartolomeo Sorge, il noto gesuita da poco scomparso protagonista di una fase significativa della storia della Chiesa italiana, che nell’aprile 1989 venne a Rieti come relatore in un incontro nel Palazzo Papale che resta negli “annali” della vita diocesana.
Quella mattina, dopo averci pensato molto, decisi di alzare finalmente la cornetta del telefono per chiamare padre Bartolomeo Sorge. Eravamo nei primi mesi del 1989. Con la Commissione per la pastorale giovanile avevamo concordato di proporre all’attenzione di tutti una serie di incontri particolarmente significativi invitando persone che in quel periodo erano punti di riferimento e voci profetiche nella chiesa italiana. Tra loro era venuto fuori anche il nome di padre Bartolomeo, il gesuita che a Palermo aveva dato vita ad una scuola di formazione che faceva parlare di sé soprattutto perché, tra l’altro, aveva come obiettivo quello di combattere culturalmente la mafia siciliana.
In questo padre Sorge non faceva altro che dare concretezza a quello che era stato detto in maniera molto convincente del primo convegno della Chiesa italiana che si tenne a Roma nel 1976.
Padre Sorge ne fu uno dei protagonisti principali. Il tema del convegno Evangelizzazione e promozione umana spalancava in termini radicalmente nuovi le porte della Chiesa per un impegno nel mondo e nella società fedele e coerente con il dato evangelico. Un tema caldo che, per la verità, era già stato affrontato in un convegno della chiesa di Roma nel febbraio del 1974. Si trattava di dare finalmente il colpo di grazia al cosiddetto collateralismo che aveva condizionato la chiesa, in particolare quella italiana, nel suo rapporto con la politica più nella prospettiva del potere che del servizio.
A farmi decidere di tentare il colpo dell’invito di padre Sorge fu la pubblicazione di un suo libro intitolato emblematicamente Uscire dal tempio. Lo avevo letto con passione e lo chiamai pensando, tuttavia, che sarebbe stato difficile portarlo a Rieti. Tra le altre difficoltà c’era anche quella che viveva sotto scorta proprio per le minacce che aveva ricevuto dalla mafia.
La risposta fu immediata: «Vengo molto volentieri». E venne dandoci l’opportunità, come Chiesa diocesana, di vivere l’esperienza di un incontro che credo che sia rimasto tra i più significativi nella vita della nostra diocesi. Il salone papale si riempì. C’erano anche molti responsabili politici e non solo della città ma anche della provincia. Ci parlò della necessità di “uscire dal tempio” per metterci in ascolto di quel luogo teologico che è la storia degli uomini e per recuperare come chiesa la sua identità di segno e strumento dell’amore di Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Una prospettiva e un linguaggio che il Concilio Vaticano II aveva solennemente indicato alla Chiesa e a ogni cristiano e che, tuttavia, si faceva fatica ad accogliere perché la tentazione del potere e dell’autoreferenzialità era più forte che mai e già si era mosso l’esercito di coloro che avrebbero voluto ritornare al passato e mettere in sordina il Concilio e le sue attese.
Un altro gesuita, divenuto Papa, ci sta ora proponendo lo stesso programma di padre Sorge.
Anche papa Francesco parla di una “Chiesa in uscita” e ci sta invitando con tutte le sue forze a riscoprire il senso della nostra missione nella dimensione del servizio e della scelta preferenziale dei poveri. Ma resta aperto un problema: per “uscire” bisogna avere gambe salde, mente lucida, cuore aperto, altrimenti si va allo sbando. Forse la sfida che ci attende è proprio questa: come fare in modo che la Chiesa in tutte le sue componenti diventi realmente un soggetto capace di camminare sulle strade del mondo per raccontare le meraviglie del Vangelo? Nella sua conversazione padre Sorge ci invitava a capire che è determinante per la credibilità della Chiesa parlare lo stesso linguaggio e avere lo stesso obiettivo sulle cose che contano e che appartengono all’identità della chiesa e di ogni suo membro.
È quello che raccomandava san Paolo: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,4-6). Credo che di strada da fare in questa direzione ce ne sia davvero tanta.
Chiudo con un ricordo molto personale: avevo donato a padre Sorge il mio libro Quando la chiesa ha paura. Qualche giorno dopo la sua venuta a Rieti lo chiamai al telefono per ringraziarlo ancora per il dono che ci aveva fatto. A distanza di poco tempo ricevetti un suo biglietto di ringraziamento per il dono del libro che aveva letto e apprezzato molto. I grandi sono grandi anche per la delicatezza del loro cuore e padre Bartolomeo era certamente uno di questi.