Il Sinodo come fisioterapia

È noto: meno ci si muove, meno ci si muoverebbe. All’inizio l’immobilità sembra una costrizione, specie se causata da traumi, o mancanza di tempo e spazi. Ma poi ci si adatta, ci si abitua, fino a desiderarla come irrinunciabile. Impressiona l’insistenza delle immagini motorie nell’omelia del Papa in occasione dell’Epifania: «partire», ripartire», «camminare», «muoversi», «movimento», «uscire», «viaggio», «ginnastica», «andare», «ritornare». E, al contrario: «accomodarsi», «rintanarsi», «bloccarsi», abituarsi a uno «spirito di parcheggio».

Il guaio è che il potere di muoversi si può perdere. Una malattia trasforma un gesto, prima facile e leggero, in faticoso, o impossibile. Vale per patologie gravi e per una semplice indisposizione che costringe a letto. Anche alcuni tipi di depressione indeboliscono il potere di muoversi: fiaccando le “e-mozioni”, si inibiscono le motivazioni. Demotivati, non ci si muove. Così pure l’avanzare dell’età limita la fluidità dei movimenti. I gesti diventano incerti e lenti, sempre più bisognosi d’aiuto. Paradossalmente la perdita di movimento può derivare da movimenti. L’assunzione ripetuta di una postura sbagliata crea un’abitudine motoria e gestuale scorretta che riduce la scioltezza. Il portamento sbagliato della schiena causa disturbi a tutto il corpo, riducendone agilità e prontezza. È simile a quanto tradizionalmente si chiama “vizio”, cioè “mancanza”. Il vizio è fondamentalmente una mancanza di movimento, dovuto alla ripetizione di movimento sbagliato. Ogni vizio ha una forte componente ossessiva: qualcosa è ammirato in modo così esclusivo da rendere fisso lo sguardo dell’osservatore: egli diviene un fissato, incapace di muoversi in altre direzioni. I vizi tolgono agilità al portamento e al comportamento che decade nel ridicolo e sgraziato. Certo, il denaro, il piacere del sesso e del cibo, la consapevolezza del proprio valore sono cose buone, ma ridotte a fissazioni, ostacolano l’agilità dell’anima. Perfino un certo modo di annunciare il Vangelo, una consuetudine pastorale, è esposto al rischio di fissazioni che ne riducono l’elasticità. Anche pastoralmente ci si fissa, trasformandosi in fissati, come le immagini immobili degli idoli: «hanno piedi e non camminano» (Salmo 115).

Ugualmente si perde movimento a causa del sovrappeso. La voracità — tipica dei golosi, non dei buongustai — rende il corpo (anche quello della Chiesa) inutilmente pesante, affaticato, greve da portare, costringendolo a lentezza, ineleganza, mancanza di grazia. Un rimedio alla perdita di movimento è la fisioterapia, la riabilitazione (anche nella forma di dieta dimagrante). Un percorso riabilitativo è assai complesso, delicato. Spesso è lungo, perciò è insensato tergiversare, rimandandone continuamente l’inizio. Comincia solo grazie alla fiducia reciproca tra riabilitatore e riabilitato. Senza la speranza nel recupero del paziente nessun fisioterapista lo curerebbe. Senza il presagio della riuscita, il presentimento favorevole circa la competenza del riabilitatore, il malato non sopporterebbe nessun esercizio.

La speranza nella riuscita innesca l’altra condizione necessaria di un percorso riabilitativo: la disponibilità a sottoporsi allo sforzo. Nell’esperienza dello sforzo vibra un mistero interessante. Da un lato, quanto più un movimento è “sforzato” tanto meno è gradevole per chi lo compie e per chi lo guarda. Dall’altro, proprio grazie alla ripetizione dello sforzo, il gesto acquista disinvoltura e grazia. Quanto sforzo nell’apprendere un passo di danza e quanto, perché “sforzato”, risulta legnoso, impacciato, sgraziato. Nondimeno, se il ballerino accetta di sottomettersi ripetutamente a tale fatica, le sue movenze diverranno leggere, perché non gli costeranno sforzo alcuno. Così pure il bambino che impara a camminare, parlare, scrivere, solfeggiare, o l’apprendista impegnato a maneggiare un nuovo attrezzo in officina. La disponibilità a sottoporsi allo sforzo è la condizione necessaria per raggiungere il movimento senza fatica, agile, bello, pieno di grazia. Costa sforzo a tutti (anche alla Chiesa) muoversi di più e mangiare di meno, ma il risultato è la scioltezza, la grazia.

Si dice che Ignazio di Loyola, dopo alcuni rocamboleschi interventi chirurgici al ginocchio ferito in battaglia, riabilitò la gamba offesa camminando verso Gerusalemme. La fisioterapia a cui, camminando, sottopose il suo corpo fu l’occasione per riabilitare la sua anima (gli Esercizi spirituali). Il Sinodo sarà un percorso fisioterapico, riabilitativo per la Chiesa. Perciò esige speranza, sforzo ed esercizio ripetuto. E soprattutto richiede di ricominciare a camminare verso Gerusalemme e quanto vi capitò un mattino presto, quando era ancora buio.
Giovanni Cesare Pagazzi da https://www.osservatoreromano.va