Andare oltre la pastorale ordinaria per incontrare le persone in ricerca

È stato un confronto sul senso di appartenenza alla Chiesa, accompagnato da uno sguardo disincantato sulla realtà, a costituire l’argomento dell’incontro del vescovo con i sacerdoti, i religiosi e i diaconi. Un impegno mensile per il clero reatino che lo scorso giovedì ha visto il vescovo partire dai numeri (composizione, età e status dei consacrati) per poi offrire al dibattito in assemblea spunti e indicazioni per individuare quali aspetti dell’attività pastorale vanno aggiornati al fine di evitare la semplice autoconservazione e trovare strade per evangelizzare nel tempo presente.

In particolare, mons Pompili ha invitato a rivedere le abitudini, gli stili, gli orari e il linguaggio, cercando di capire cosa, al di là della consueta attività pastorale, fatta di messe, processioni, catechismo, può essere fatto riguadagnare un rapporto più stretto con la gente.

Il vescovo ha quindi sollecitato a rivedere «la postura del pastore che si rapporta con il mutato contesto della gente, sempre più dispersa e isolata, in una parola orfana», chiedendo ai presenti di «rompere l’isolamento», di non «soccombere alla progressiva disaffezione», anche valutando di modulare gli orari sui ritmi degli attuali stili di vita e portando avanti una riflessione sulla comunicazione e sulle modalità di coinvolgimento.

Esigenze che don Domenico ha tradotto in alcune sfide da affrontare. La prima è quella di rianimare il tempo, «cioè, ordinarlo, secondo una scala di priorità che non lo faccia essere un vuoto a perdere, ma restituisca finalità al proprio servizio».

Occorre poi riumanizzare le relazioni, perché «quando manca la consistenza umana anche il dato sacramentale rischia di apparire una maschera», si finisce con il porre enfasi sul «proprio status» e si «evita l’incontro con l’altro che è fatto di reciprocità e di gratuità».

Altra necessità, è quella di superare l’isolamento che diventa «latitanza pastorale» e fa correre il rischio dell’«autarchia dottrinale», dell’«autarchia liturgica» e dell’«autarchia pastorale», in cui «ciascuno si sente il padrone che tiene in ostaggio le sue pecore oppure si rende ostaggio di qualcuno». A tal proposito, il vescovo ha suggerito ai sacerdoti di vivere secondo un orizzonte più ampio della parrocchia, «che non è mai autosufficiente», invitando ciascuno a raccogliere le sfide più ampie rispetto ai giovani, alle famiglie, alle vocazioni.

Infine, mons Pompili ha suggerito un’ultima strada: quella dello studio della Parola di Dio, affinché ognuno «si tenga l’altezza del proprio compito» e «sappia rispondere alle domande delle persone in ricerca, perché solo così la Chiesa cresce e resiste».