Il gesto di Maria di Magdala che va al sepolcro per prendersi cura del corpo senza vita di Gesù, come simbolo di quella pulsione di morte che già Freud aveva identificato nella natura umana. Rivolgendosi ai fedeli radunati in Cattedrale per partecipare alla Messa del giorno di Pasqua, il vescovo Domenico ha indicato in questa «attrazione fatale» una causa inesorabile dei gesti distruttivi dell’uomo, irrazionali al punto da metterne in pericolo la vita. Il riferimento è stato ovviamente alla guerra in Ucraina, ma riconoscendo come i freudiani “istinti di morte” attraversino la storia umana strutturandosi come un complesso di forze negative che la cultura e la civiltà non sembrano in grado di cancellare.
«Osservando con attenzione – ha detto mons Pompili – non si fatica ad individuarne almeno quattro che sono sempre all’origine della guerra. Si tratta dell’avidità/aggressività, dell’ideologia, della paura, del senso dell’onore. In tutti questi casi si corre il rischio di essere sopraffatti dalla morte e mai raggiunti dalla vita».
Ma non si tratta di un destino inesorabile, come si ricava dal resto della pagina evangelica, quando presenta la corsa di Pietro e Giovanni: «Provocati dalle voci delle donne, lasciano dietro di sé gli “istinti di morte” e finiscono per lasciarsi vincere dai presagi della vita». Della loro corsa colpisce il rispetto: il più giovane arriva prima, ma attende fuori dal sepolcro e entra dopo il più anziano. Essi, infatti, com-petono nel senso esatto del termine, «sono cioè integrati e provano a fare insieme per avvicinarsi alla meta».
Una lezione che invita «a trasformare la competizione in collaborazione e la corsa veloce in un cammino di reciproca integrazione». E il compito richiede fatica, non solo perché fare la guerra è più facile che fare la pace, ma perché dietro le tensioni che attraversano il mondo «ci sono sempre livelli di giustizia e di uguaglianza da ritrovare. E stridenti ingiustizie da eliminare per evitare che si moltiplichino le occasioni del conflitto».
Come fare lo suggeriscono le ultime parole del brano evangelico: «E vide e credette». Si tratta dunque di avere fede, sapendo che «Non basta vedere per credere. Occorre anche credere per vedere», che nei rapporti umani vuole dire «accordare un anticipo di fiducia all’altro per poter andare oltre le reciproche diffidenze». Don Domenico ha esortato a guadagnare «uno sguardo che sa andare al di là del presente», capace di quella «saggezza che è il vero motore della civiltà e del benessere», che consiste nel «calcolare bene le conseguenze di una guerra e nel sapere che non esiste una notte infinita».
«L’istinto della vita ha così la meglio sulla paura della morte. «La resurrezione – ha concluso il vescovo con le parole del teologo Bonhoeffer – non è la soluzione al problema della morte, ma uno sguardo nuovo sulla questione della vita».

