La risurrezione è come il Big Bang

All’esterno della Cattedrale il fuoco dal quale si accende il cero pasquale, poi la fiamma che passa da persona a persona, accompagnando la processione dei fedeli che entrando dal grande portone rischiarano l’aula. Un segno della luce della fede che guida in mezzo al buio, annuncio del mondo nuovo che irrompe con l’evento della risurrezione di Gesù.

Questo il cuore della veglia presieduta dal vescovo Domenico nella notte di Pasqua. «La risurrezione di Cristo – ha detto mons Pompili – è come il Big Bang», l’evento che ha generato l’universo fisico a partire a un nucleo infinitamente denso di materia e energia, l’esplosione che ha dato vita al «movimento di espansione dell’universo che ancora continua dopo miliardi di anni».

Un evento che ha lasciato tracce inequivocabili eppure resta difficile da comprendere fino in fondo. Proprio come la risurrezione, davanti alla quale le donne al sepolcro vanno in confusione: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?».

Il punto, ha spiegato il vescovo, è che esse non avevano ricordato quello che il Maestro aveva detto loro: «Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono grazie a lui». Una lezione che sembriamo aver dimenticato anche noi moderni, che «siamo figli di altre parole, quelle che in modo perfino un po’ ironico sono attribuite ad un grande drammaturgo, Ionesco, che dice: “Dio è morto e anch’io non mi sento molto bene”».

E invece, proprio come il Big Bang, l’evento della risurrezione è ancora presente e dura: «non è un avvenimento che riguarda il passato, ma una sorta di salto qualitativo, una mutazione decisiva che consente all’uomo di entrare in una dimensione assolutamente inedita, che va oltre quelle che sono le nostre consuete possibilità e perciò apre al futuro, a un nuovo genere di futuro».

Ma non si può comprenderlo se si riduce la dimensione umana al solo riferimento della scienza. La natura profonda della risurrezione è tutta nelle parole rivolte alle donne: “Non è qui”, «Gesù è, ma non dove pensiamo sia».

«Dire “Non e qui” significa allargare lo spettro delle possibilità, significa che l’affermazione della risurrezione di Gesù non è in contrasto con la scienza, perché la scienza indaga quello che è qui ed ora, ma appunto, la risurrezione non è qui».

«“È risorto” è l’affermazione decisiva, che chiude la rivelazione e apre alla speranza. È singolare – ha notato il vescovo – che di Gesù nei Vangeli vengano riportate parole intorno alla fede e alla carità, ma mai relativamente alla speranza. Eppure, dopo la sua risurrezione, è proprio un fremito di speranza quello che muove, anzi smuove la Chiesa. Ed è questa speranza quella che deve coinvolgere ciascuno di noi in un momento in cui ci sono solo motivi che condurrebbero alla disperazione».

Un’esortazione che don Domenico ha rivolto in modo speciale a Isabella, che proprio nella notte di Pasqua ha ricevuto il battesimo: «Questo è ciò che stai per vivere, la luce che dirada le tenebre e che ci consente di accendere in mezzo al buio la speranza».