Veglia di Pentecoste

Nella Cattedrale di Rieti
22-05-2021

Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza”. Mai come negli ultimi tempi abbiamo sperimentata la debolezza nella forma della dipendenza, della carenza e della sofferenza. In realtà, è la vita stessa che è debole, anzi fragile. Che cosa è l’ombelico? E’ la cicatrice che ricorda all’uomo che è un essere nato ‘prematuro’ ed ha bisogno che ci si prenda cura di lui. Non a caso, nella forma latina nascor e morior, sono due verbi deponenti, cioè hanno forma passiva e senso attivo. La debolezza è, dunque, un fatto indiscutibile. Ma è anche una risorsa, se si trasforma in resilienza, che è “la capacità di una persona o di un gruppo di continuare a proiettarsi nell’avvenire, in presenza di eventi destabilizzanti, di condizioni di vita difficili, di traumi, a volte molto duri” (M. Manciaux). La resilienza per questo è duttilità, elasticità, adattamento. Come il giunco essa si flette, ma non si spezza. Fa presa sul dolore con una singolare forza d’animo.

Quando Gesù cura la gente sofferente che incontra fa appello sempre alle forze interiori della persona che ha di fronte e la guarigione avviene ridestando le dinamiche fondamentali. Soprattutto la fede e la capacità di fiducia e affidamento, la volontà di vita e di relazione. La fede diventa così “trovare forza nella propria debolezza” (Eb 11,34).  Ma per fare questo occorre scandagliare i due affetti dai quali derivano tutti gli altri: la gioia e la tristezza, secondo il filosofo ebreo Spinoza. Caratteristica della prima è incrementare le energie: per chi è nella gioia nulla è impossibile. Al contrario, la tristezza estenua, inaridisce, spossa: per il triste, alzarsi dal letto è già un’impresa; tutto è complicato e pesante. Anche sant’Ignazio di Loyola, cent’anni prima di Spinoza, aveva nei suoi Esercizi spirituali provato a identificare i due affetti da scandagliare. Infatti, secondo lo spagnolo, alla gioia corrisponde un ‘aumento’ di fede, speranza e carità, vale a dire le forze tipiche di Dio. Così il credente diventa energico, sollecito ad agire. Specularmente, la tristezza è causa ed effetto di infiacchimento e l’anima ne risulta sfiduciata, senza speranza, senza amore. Il contributo decisivo dei cristiani oggi è alimentare la gioia e reagire alla tristezza. Solo così diventeremo cospiratori di quel vento dello Spirito che soffia e rinnova tutte le cose.

E’ per questo che il prossimo 3 settembre ci ritroveremo per il nostro Incontro Pastorale a Contigliano, dedicato a “Come trasformare la Chiesa?”. Non sarà una forma di auto-analisi, ma una forma di discernimento comunitario per ritrovare la sorgente della vita cristiana. La tristezza, infatti, che serpeggia nel nostro tempo rischia di inquinare l’energia primordiale della gioia. Ed è risaputo che l’avvenire di un fiume sta nella sua sorgente. Per questo cercheremo – prima a livello diocesano, poi a livello vicariale, infine a livello parrocchiale – come risalire alla sorgente e alla forma originaria della Chiesa. Quella che un cercatore di Dio, su sentieri vari e contraddittori, fa emergere in uno dei suoi testi più celebri, quando la promessa è: “E guarirai da tutte le tue malattie/ perché sei un essere speciale / ed io, avrò cura di te”.