Traccia dell’omelia in occasione della Giornata della Parola

(Lc 6,20-26)
13-10-2018

«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai». Le parole che il grande Isaia pone in bocca a JHWH trovano compimento nelle Beatitudini di Gesù secondo la versione dell’evangelista Luca. Sia chiaro: Gesù non idealizza la situazione dei poveri, degli affamati, o degli afflitti. Sarebbe la consacrazione dell’ingiustizia e della prepotenza umana che sono invece smascherate dalla serie dei “guai” rivolti ai ricchi, ai sazi, ai gaudenti. Né d’altra parte Gesù promette ai poveri di farli diventare ricchi perché questo creerebbe altre masse di poveri. Il Maestro piuttosto promette il “regno di Dio” che è il rovesciamento radicale della situazione presente che genera povertà, dipendenza e dolore.

L’annuncio di salvezza ai poveri, nella versione di Luca appare più netto e definito sullo sfondo dei guai. I poveri e i ricchi non sono però categorie sociologiche, ma categorie concrete. I poveri sono i perdenti che rischiano di essere vomitati dalla storia; i ricchi sono i vincenti che rischiano di illudersi della propria sicurezza. Agli uni e agli altri Gesù rivolge un appello chiaro: Dio sta già operando per una ribaltamento delle sorti. I poveri non devono soccombere al fallimento perché Dio sta dalla loro parte, anzi si identifica con loro come fu per Israele in terra d’Egitto. I ricchi non pensino di cavarsela da soli perché saranno sopraffatti dal loro egoismo superficiale e piatto. Dietro questa presa di posizione del Maestro si nasconde un invito alla comunità dei cristiani a non lasciarsi incantare dal fascino della ricchezza e a lottare per l’avvento del Regno di Dio.

Migranti, drogati, anziani, disoccupati sono l’altra faccia di una società che si lascia abbacinare dalla ricchezza e semina morte e disgregazione. L’alternativa proposta è netta: o coi poveri per il Regno di Dio e con i ricchi nell’illusione fallimentare. Dopo le beatitudini non c’è più posto per una neutralità tranquilla o per una falsa coscienza di fronte ai ricchi e ai poveri. Ma soprattutto è tracciata la strada della felicità che non consiste nell’adagiarsi nella situazione presente, ma nel trasformarla con la libertà dalle cose, con la forza di contrastare l’ingiustizia, con la capacità di convertire il dolore in amore. Come fece Francesco ai suoi tempi. La sua fu una rivoluzione carsica che assume nel volto del Cristo crocifisso la forza per rovesciare i valori del mondo ed introdurre un altro sguardo sulla realtà che sa cogliere in ogni situazione umana la possibilità di un riscatto con l’apporto di ognuno. E soprattutto con la grazia di Dio.