Ordinazione presbiterale di don Pietro Zych

IV domenica di Pasqua (At 4, 8-12; Sl 117; 1Gv 3, 1-2; Gv 10, 11-18)
24-04-2021

Caro Pietro,

in una iscrizione paleocristiana del II secolo, un tale Abercio, ha lasciato scritto: “Sono il discepolo di un pastore… che ha occhi grandi; il suo sguardo raggiunge tutti”. Gli “occhi grandi” sono quelli di Gesù che dice di sé “Io sono il pastore, quello buono/bello”. Quel che manca alla nostra generazione sono gli “occhi grandi” di Gesù! Siamo, magari, sotto l’occhio indiscreto del “grande Fratello”, ma avvertire lo sguardo benevolo di Dio in Gesù di Nazareth è altra cosa e genera stupore. Come abbiamo ascoltato nella seconda pagina: “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. Ciò sta a dire che noi non siamo le nostre prestazioni, il nostro ruolo sociale, o peggio ancora, le attese degli altri, ma noi siamo avvolti dentro un mistero d’amore, il cui futuro è nascosto in Dio. Uscire dalla logica della competizione e ritrovare quella della gratuità aiuta a vivere e… a far vivere.

Non a caso Gesù ripete per ben cinque volte in pochi versetti: “Io dono la mia vita”.  Così fa il pastore, a differenza dei mercenari. Questi ultimi, invece, fuggono via all’arrivo del lupo che è peraltro “un animale bellissimo, potente, col muso appuntito come una freccia” (G. Pagazzi). Anche il buon pastore ha incontrato tanti lupi: gli ‘arrivisti’ Giacomo e Giovanni, l’approfittatore Zaccheo, l’adultera, il delinquente sulla croce. Tutta gente che minacciava le sue pecore, le disperdeva e le rapiva. Ma non li ha cacciati a bastonate, ma ha convertito la loro violenza in forza. Questo fa, anzi, è il pastore con “combattiva tenerezza” (EG, 88), direbbe papa Francesco. In questo ossimoro c’è tutta la tua vita futura. Oggi capita talora di incontrare preti o soltanto “aggressivi”, senza alcuna relazione con il popolo, oppure solo “teneroni”, ma lascivi rispetto alla sorte del mondo. Caro Pietro, sei chiamato a diventare un “combattente tenero”. Né un frustrato che aggredisce, né un irrisolto che lascia andare.

Infine, aggiunge il testo evangelico “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare”. A noi piacciono i recinti chiusi anche se siamo in un mondo globalizzato; privilegiamo i piccoli gruppi, gli amici degli amici, mentre gli altri se ne stiano fuori. Tu invece, caro Pietro, devi “far voto di vastità”, cioè, devi allargare il tuo sguardo a tutti: ai bambini, agli adolescenti, ai giovani, agli adulti, agli anziani; alle coppie e ai singles; ai lavoratori e ai disoccupati; a tutti. Dinanzi alla catastrofe educativa, alla crisi familiare, all’emergenza sanitaria, il rischio è di fuggire altrove. Tu, invece, sei chiamato ad “ingrassare” la storia che abiti, come gli occhi del padrone ingrassano il cavallo (!). È quel che – a nome della chiesa di Rieti -auguriamo oggi a te per la tua vita. Che il tuo ministero presbiterale sia la plastica e comprensibile incarnazione di quanto scritto nella tomba di Abercio: “Sono il discepolo di un pastore santo che ha occhi grandi, il suo sguardo raggiunge tutti”.