Omelia in occasione dell’ingresso di don Tomasz Wrona nella parrocchia di Fiumata

XXX domenica del tempo ordinario (Anno B) (Ger 31, 7-9; Sal 125, Eb 5, 1-6; Mc 10, 46-52)
28-10-2018

«Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni». Il profeta Geremia dà corpo al sogno di Israele che anche quando è ridotto al lumicino, ad un «piccolo resto», non perde l’ottimismo che è fondato su una certezza: «io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito». Quello che colpisce di questo ritorno in patria è che esso coinvolge gli scartati: «il cieco e lo zoppo, la donna incinta, e la partoriente». Ma il miracolo accade perché non ci si basa sul calcolo umano che produce sempre i suoi scarti, ma sulla volontà di Dio che si acquisisce con la fede. Anche le parrocchie sono un piccolo resto, ma da qui può ripartire una umanità migliore che è destinata a diventare una gran folla. La parrocchia è piccola, ma aperta. Dio costruisce e rinnova sempre a partire dai semi, non dalle folle.

Il brano evangelico chiarisce come avviene questo ritorno a partire da Bartimeo, un cieco che «sedeva lungo la strada a mendicare». Solo di lui si dice il nome quasi a volerlo tirar fuori dalla massa e questo indizio aiuta subito a comprendere che si ricomincia sempre da uno. Non dalle masse. L’importante è che quest’uno sia se stesso e non si lasci immobilizzare dalla folla che lo rimprovera perché tacesse. Bartimeo, al contrario «gridava ancora più forte: Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Il grido e non la rabbia sono l’inizio del ritorno a casa. Perché gridare significa tirar fuori quello che ci sta a cuore senza censurare quello che sentiamo. Grida chi sa chiamare le cose per nome e non si accontenta di lasciarsi vivere; chi non si vergogna di dire che sta male e vuole essere aiutato; chi sa ammettere che senza Dio la vita è destinata ad essere una passione inutile. Bartimeo è libero e invoca Gesù chiamandolo «Rabbuni», cioè riconoscendone l’autorevolezza e il mistero.

A quel punto Gesù che fa? Stranamente invita quelli che volevano allontanarlo a farsi vicini perché lo accompagnino a Lui. La Chiesa è fatta da persone spesso discutibili, ma Gesù non salta mai questa mediazione degli altri che costringe a chinarsi verso chi è nel bisogno. Una chiesa autentica non è fatta di soli perfetti, ma di gente che sa rendersi conto di quello che non va e, suo malgrado, si sforza di accompagnare le situazioni storte: soli, abbandonati, piccoli, malati.

E, finalmente, avviene l’incontro con il Maestro che chiede al cieco: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Il cieco si è alzato ed ha abbandonato le sue certezze. Per questo è pronto. Ma Gesù non gli dice: «Che tu veda», ma: «Va, la tua fede ti ha salvato». Lo invita a seguirlo. Ecco la fede: non è già una certezza, ma camminare dietro a Lui. Che non compirà più alcun miracolo, ma si disporrà a offrire se stesso. Questo è il parroco che non è dotato di poteri paranormali, ma come Thomas non pensa a se stesso; si dona con semplicità. È questa presenza disinteressata che fa crescere una comunità.