Omelia in occasione delle esequie di Marco Tosti

Mercoledì della XXIX settimana del Tempo Ordinario (Fil 3,20-21; Sal 62; Mt 11,25-30)
24-10-2018

«La nostra patria è nei cieli», afferma l’Apostolo Paolo in un frammento della sua lettera ai Filippesi, che abbiamo appena ascoltato. Per noi che siamo ben piantati per terra le sue parole sembrano quasi una provocazione, specie nel momento in cui diamo l’addio a Marco. Il fatto è che il pensare la vita sospesa tra cielo e terra ci è diventato estraneo. Tutto sembra chiudersi inesorabilmente su questo spazio terreno, come la giornata di oggi che a breve volge al tramonto. Eppure, chi ha visto Marco, per l’ultima volta, avrà notato che il suo sguardo è aperto al sorriso. La sua vita è tutta in quel sorriso disarmato e incantato che incontra gli occhi di chi lo pensa e lo ama: la mamma e il papà, la fidanzata, gli amici, il paese. Quando uno se ne va troppo presto c’è una domanda che ci trafigge: che cosa avrebbe fatto Marco da grande? Non è possibile rispondere, ma il suo sorriso è tutt’altro che incompiuto. Dice il suo modo di essere e di vivere, che non ha tempo e resta per sempre.

«Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò». L’invito di Gesù – risuonato nel vangelo di Matteo – non è di circostanza. Anzi è, per chi crede, un modo concreto per evitare che il dolore ci schiacci. Non sarà facile, specie per mamma e papà; ma il Maestro «mite e umile di cuore» spinge a cercare nella direzione che è stata anche di Marco. La mitezza – Marco era un mite – non è dabbenaggine, ma è gustare la vita in ogni suo momento e valorizzare ogni goccia di possibilità. Senza mai lasciarsi risucchiare dal vortice delle cose fatue e inutili che ci privano della gioia e, ancor prima, degli altri. Umile di cuore è Marco che ha seminato la vita di gesti belli e buoni, a partire dal suo sguardo limpido e trasparente, lasciando trapelare solo qualcosa della sua voglia di vivere. Per questo non possiamo pensare che il suo desiderio vada perduto per un incidente di percorso. Ci impedisce di crederlo l’istinto del nostro cuore che si ribella a quella che sembra la realtà e basta. Ci aiuti in questo momento proprio la sua fede semplice e pulita che non lo ha mai abbandonato, neanche nel momento tragico del suo passaggio. Perché la vita non può essere circoscritta a quell’attimo fatale dietro ad un cespuglio. Vogliamo credere che Marco – come domenica scorsa – sia soltanto sottratto al nostro sguardo e non si abbia la possibilità di percepirne la presenza. Come lasciano intendere le parole di un poeta contemporaneo, neanche credente, ma sinceramente aperto alla vita, il quale scrive: «La morte è la curva della strada / morire è solo non essere visto. / Se ascolto, sento i tuoi passi / esistere come io esisto. / La terra è fatta di cielo. / Non ha nido di menzogna. / Mai nessuno s’è smarrito. / Tutto è verità e passaggio» (F. Pessoa).