Omelia in occasione della messa in memoria dei defunti a tre mesi dal sisma del 24 agosto 2016

Giovedì della XXXIV del tempo ordinario, anno C (Ap 18,1-2.21-23; 19,1-3.9; Sal 99; Lc 21, 20-28)
24-11-2016

«Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo». Le parole conclusive del Maestro gettano una luce di speranza sulla narrazione tragica della distruzione di Gerusalemme, che fa il paio con quella di Babilonia, di cui l’Apocalisse fornisce la descrizione più agghiacciante.

Sembra una fotografia dei nostri borghi: «Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba non si udrà più in te; ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; il rumore della macina non si udrà più in te; la luce della lampada non brillerà più in te; la voce dello sposo e della sposa non si udrà più in te».

Chi riesce più oggi a trovare Amatrice ed Accumoli? La fine dell’attività economica e culturale, ma ancor più la fine del dialogo familiare sono la prova di una guerra che lascia dietro di sé solo macerie. In realtà i due fatti si toccano: se non c’è possibilità di lavoro non ci saranno persone disposte a restare e se non c’è una famiglia solida sarà difficile resistere ai rigori dell’inverno.

Tuttavia questi fatti non sono ancora la fine di tutto, ma solo l’inizio. Gesù inspiegabilmente aggiunge: «perché la vostra liberazione è vicina». Come dar credito a questa affermazione? Occorre far leva sulle nostre convinzioni più profonde che ci assicurano una cosa: le perdite possono essere utilizzate per affinare la pazienza. Certo, la pazienza, portata all’estremo, può fare venire la gastrite e se lasciata a se stessa può diventare codardia. Ma il tempo e la pazienza sono due combattenti insuperabili. E non si tratta solo di attendere perché la pazienza è un’azione e non una sottomissione.

In concreto: armiamoci di pazienza. Per incalzare, non per aggredire beninteso, i nostri amministratori perché compiano quanto hanno promesso; per unire gli sforzi, piuttosto che dividersi l’uno contro l’altro; per ampliare l’orizzonte del nostro sguardo e trasformare questo paradiso, divenuto un deserto, di nuovo in un giardino dove poter vivere e dove accogliere tanti in cerca di pace e di benessere.

Lo dobbiamo ai tanti che sono stati strappati ai nostri affetti e che non possiamo dimenticare sotto la fretta della ricostruzione. Restituire a questa terra la vita e la bellezza che abbiamo conosciuto e che è stata deturpata lo scorso 24 agosto, rappresenta il nostro compito. Il Signore ci assicura che ce la faremo. La nostra pazienza e la nostra fede aggiungeranno il resto.