Omelia in occasione della Messa crismale

(Is 61, 1-3a.6a.8b-9; Sal 89; Ap 1, 5-8; Lc 4, 16-21)
17-04-2019

«Gesù venne a Nazaret dove era cresciuto». Ritornare a casa ha il suo fascino, ma comporta anche un rischio. Il fascino è immaginare di ritrovare esattamente quel che si è lasciato. Il rischio è che le persone nel frattempo non siano più le stesse. È quello che accade a quelli di Nazareth che non si accorgono di come è cambiato Gesù che pure avevano visto crescere. Anche noi spesso commettiamo lo stesso errore: valutare il presente, in base al passato. Mentre il presente va compreso spingendosi in avanti. Per questo non basta attendere il futuro. Bisogna andargli incontro. Questa, anzi, è la fede: andare incontro al futuro. Il che è un’avventura mai compiuta e non soltanto un ‘deposito’ da custodire. La Cattedrale di Notre Dame sarà ricostruita, ma quello che è stato un disastro può diventare un nuovo inizio. La chiesa – anche la nostra reatina – sembra in certi momenti come ‘terremotata’. Non è però la fine, ma solo un inizio che reclama nuova vitalità.

«Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette». La sequenza dei gesti è solenne e, al tempo stesso, familiare. Gesù prima legge e poi siede. Stare seduti non è solo un segno di prossimità, ma anche di equilibrio. Gesù è stato un camminatore, ma sempre paziente e mite. Non si limita ad annunciare e a compiere segni portentosi, ma sta con la gente per aiutarla a discernere e a decidersi. Il ministero pastorale oggi deve essere dinamico e non statico certamente, ma senza perdere la capacità di “stare con” perché maturino scelte coraggiose e controcorrente. Senza l’abituale capacità di ascolto e di incontro, non si pensi di guidare o di orientare gli altri. Al pastore è richiesta l’autorità: non quella del controllore beninteso, ma di colui che “fa crescere” l’altro. Come una madre che rischia e soffre per la libertà del figlio perché soltanto così crescerà sul serio.

«Oggi si è adempiuta questa Scrittura». Ciò che fa scatenare i suoi compaesani è la ‘pretesa’ di Gesù per cui JHWH è all’opera nella sua stessa persona. E’ questa concretezza ciò che suscita la reazione violenta. Finché la fede si limita ad essere un sentimento interiore non c’è nessun problema. Ma quando pretende di entrare nella storia, di chiamare a conversione, subito si alzano le barricate. Senza questa concretezza però Gesù Cristo rischia di essere un’evasione per anime belle. Soltanto quando Cristo si trasforma in liberazione per sé e per gli altri si diffonde un alito di vita. Solo quando la chiesa fa promozione umana allora evangelizza veramente. Lo ha detto il Maestro in tempi non sospetti prima che la Pasqua ce lo facesse intendere chiaramente: ”Sono venuto, perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Buona Pasqua!