Omelia in occasione della festa della Presentazione del Signore

(Mal 3.1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40)
02-02-2018

«Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai». Così il profeta Malachia descrive il Messia che modella come il fuoco e deterge come la sostanza che usavano le nostre nonne quando facevano il bucato. Basta fare una radiografia della nostro io per accorgersi di un certo “scoramento”. Si fa strada una sensazione corrosiva che sembra prosciugare lo slancio vitale. Ciò che facciamo è tutto sommato corretto. Però manca quel soffio che renderebbe l’agire veramente vitale. E questo ci rende sbiaditi e scontenti. È vero, ciò che fa partire nella vita è spesso la convinzione di riuscire laddove gli altri hanno fallito, di poter fare meglio di chi è venuto prima. Questo input positivo però non dura all’infinito e giunge sempre il momento in cui sembra di doversi arrendere alla realtà. La sensazione di un certo fallimento è però decisiva perché costringe a ripensarsi e a purificarsi. E così ci mette nella condizione di aprirci e non di chiuderci, aprendoci all’invocazione che è disponibilità a fidarsi più di Dio che di noi stessi.
«Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova». La lettera agli Ebrei qui si riferisce a Gesù Cristo che è venuto proprio per sostenerci, grazie alla sua condivisione totale. Questa vicinanza rende il nostro Maestro credibile ed avvicinabile perché sa quello che patiamo. Ci è passato prima di noi. Anche Lui ha avuto la sensazione di essere un Messia fallito e, tuttavia, questa esperienza lo ha reso non solo empatico, ma capace di trascinarci Oltre noi stessi. Seguire Lui “più da vicino”, in fondo, coincide con questa accettazione del limite che non ci deforma, ma ci fa autentici e ci rende umani. E tale è la scelta della vita consacrata.
«Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui». La scena evangelica è segnata dall’incontro di un bambino, portato in braccio da Maria e Giuseppe, e due anziani. Il risultato è che le generazioni si rafforzano a vicenda. Il bambino si comprende a partire dalle attese di Simeone ed Anna e questi sono rinvigoriti dal contatto con Gesù che ne costituisce l’attesa e il compimento. È esattamente quello che accade nella vostra vita di consacrate e di consacrati. «Quando con mani ricche di niente stringi al cuore bimbi non tuoi solo per amore. Quando il dramma di chi soffre, lotta e muore tradito dalla vita, diventa per te tormento, emozione, preghiera, fame di pane spezzato di un segno di croce che solo dona pace… Quando la liturgia che ti eleva al creatore cancella dalla mente il tuo nome, la tua vita, la tua storia per vivere la chiamata. Allora sei Donna (sei uomo) consacrata». Grazie per la vostra testimonianza e auguri per la vostra vita!