Omelia in occasionde della Giornata mondiale della Vita consacrata

Presentazione del Signore nel tempio (Ml 3, 1-4; Sal 23; Eb 2, 14-18; Lc 2, 22-40.)
02-02-2019

«Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; e anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

Quella che sembra una oscura minaccia è in realtà una profezia. In effetti le parole di Simeone, che siamo abituati a meditare alla fine della giornata, non sono tanto un addio crepuscolare e malinconico, ma un saluto festoso all’alba messianica che sta per schiudersi proprio grazie a quel bambino che il vecchio Simeone tiene teneramente tra le sue braccia.

Anche la vita religiosa, femminile e maschile, non è al tramonto come ci verrebbe da pensare, ma è piuttosto all’alba. Tantum aurora est, disse Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano Secondo: siamo appena all’inizio. E ci sono tre esperienze all’inizio della vita consacrata che vengono rievocate in questa profezia di Simeone: il segno di contraddizione, che è evidentemente Gesù Cristo; la spada che trafigge chi si consacra completamente al Signore; e i molti cuori, cioè la gente che è destinata a svelarsi.

Innanzi tutto c’è Gesù Cristo, che è definito segno, cioè la strada. Gesù è, secondo la Lettera agli Ebrei, autore e perfezionatore della fede, è perciò su di lui che occorre tenere fisso lo sguardo. Chi si consacra a Dio lo fa anzitutto perché è preso da questo desiderio di ricercare il volto di Dio. E cercare Dio non è da intendere in senso cronologico, come se guardassimo alla fine del mondo o alla propria morte. Cercare Dio va inteso in senso esistenziale: cercare dietro le cose provvisorie ciò che è e resta definitivo. A questo serve innanzitutto la vita consacrata. Questo è quello che voi fate trapelare senza dirlo, con la vostra esistenza quotidiana, che non smette mai di insegnare a tutti noi la libertà dalle cose, la libertà dalle persone, la libertà da se stessi. Voi religiosi, frati e suore, questo ci insegnate senza dirlo: ci fate imparare a distinguere ciò che passa da ciò che resta. Questo significa cercare Dio.

E poi c’è la spada che trafigge l’anima. Non si deve pensare alla spada come a una tentazione particolare che ci tiene sempre alla stanga. È piuttosto la pazienza che è richiesta a ciascuno di noi per lasciarsi toccare dalla carne senza esserne travolti. Oggi si intende spesso la vita religiosa come una sorta di oasi, di benessere psicofisico volto unicamente alla propria personale gratificazione. Qualche volta, bisogna dirlo, nella storia, la scelta della vita religiosa è stata interpretata come una fuga dal mondo, come la ricerca di una quiete nel mezzo del trambusto del mondo. Ma la vita consacrata non può mai essere scambiata per la quiete al di là della tempesta della vita quotidiana. Le cose non stanno così. La spada che trafigge ogni giorno la vita consacrata è quella di chi come voi sa esporsi ai bisogni della gente, sa rendersi disponibile all’ascolto delle tante sofferenze che attraversano la nostra società. Questo significa lasciarsi trafiggere l’anima: essere partecipi non dall’esterno, ma dall’interno a quelle che sono le fatiche, i drammi, le sofferenze della gente. Così la vita consacrata non è un buen retiro, ma diventa uno spazio ospitale al quale ciascuno può bussare sapendo di trovare ascolto.

E infine ci sono i molti cuori, le tante persone con cui ogni giorno entrate in contatto. A scuola, nel mondo della salute, in parrocchia, in mezzo ai tanti campi della vostra attività. Tanti sono i cuori che a contatto con voi sono destinati a svelarsi, a far emergere ciò che è veramente importante. Per questo ogni incontro di un consacrato, di una consacrata, diventa un’occasione per svelare e convertire.

Siamo dunque soltanto all’inizio: non facciamoci travolgere da questa sindrome che ci vuole ormai alla fine. Abbiamo appena cominciato e non dimentichiamo mai che la vita consacrata non è mai definita in base ai numeri e alle opere, ma è definita dalla speranza e dal futuro che riesce a sprigionare attivando processi di cui a noi spesso è dato di vedere soltanto l’avvio e non la fine. Tanti di voi hanno ereditato cose e opere che da altri sono state avviate. E così la storia e la fede continuano la loro vicenda terrena in attesa dell’incontro definitivo.