Omelia della XXIX domenica del tempo ordinario

(Is 53,2-3.10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45)
21-10-2018

«Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità». Con queste misteriose parole si chiude il quarto e più celebre dei canti del servitore di JHWH. Di chi si tratta? Di colui che avrebbe diritto a ribellarsi, non avendo commesso peccato, ma non apre bocca. Resta solo con il suo silenzio e le sue ferite. Ma – ecco il portento – questa sua solidarietà con la sofferenza e l’ingiustizia si trasforma in vita. Non basta, infatti, accettare la sofferenza, ma sconfiggerla con la forza dell’amore. Anche ai nostri giorni l’ingiustizia, peraltro da noi stessi procurata, genera non la solidarietà, ma un’avversione verso gli altri che alimenta divisioni e scontro. Esistono tante cose storte e inique, ma la strada non è quella di chi si erge a rivoluzionario, salvo poi cambiare solo i nomi dei potenti, ma quella di chi si mette a servizio degli altri, senza badare al proprio tornaconto.

La pagina evangelica chiarisce questa scelta che troviamo incarnata in Gesù di Nazareth che per la terza volta annuncia ai suoi la passione e la morte. Stavolta sono Giacomo e Giovanni che mostrano quanto sono distanti dal modo di pensare di Gesù. I due fratelli lo hanno seguito sin dall’inizio insieme a Pietro e Andrea; sono i figli di Salome, sorella di Maria, dunque cugini del Maestro. Eccoli dunque presentarsi a Gesù e dire: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua desta e uno alla tua sinistra». È una pretesa più che una domanda, fatta da chi ragiona su presunti meriti che li metterebbero davanti agli altri. Gesù replica con pazienza: «Non sapete quello che chiedete». Egli sa chi verrà crocifisso accanto a lui, ma soprattutto sa che la gloria non consiste nello stare sopra agli altri, ma nell’essere obbediente a Dio che vince la prepotenza umana. Per questo li incalza: «Potete bere il calice che io sto per bere, o ricevere l’immersione nella quale io devo essere immerso?». Seguire Gesù vuol dire condividere la sua sorte di sofferenza senza essere risparmiati dalla tentazione. Non solo, c’è anche l’immersione nella morte che è la prova suprema, che a nessuno è risparmiata. I due fratelli rispondono di sì senza sapere quello che dicono. Ma involontariamente affermano la loro fine: Giacomo, infatti, verrà giustiziato nel 44 d.C. e Giovanni vivrà in esilio a Patmos.

«Tra voi però non è così». Dopo il siparietto con i due fratelli, Gesù chiama a raccolta i suoi e chiarisce quale deve essere il loro stile. Attenzione, Gesù non dice: «Tra voi non sia così», come fosse un augurio. Ma afferma che la comunità è tale se vive un altro stile di vita e cioè il servizio che non è una parola appunto, ma un modo di essere ogni giorno. Servitori, mai servili è quello che chiede anche a noi Gesù per ribaltare la logica umana che semina soltanto violenza e distruzione.