Il cibo come identità, cultura e giustizia

Il coraggio di guadare: convegno promosso dal Centro sanitario diocesano sui disturbi alimentari
26-10-2018

«L’uomo è ciò che mangia» (L. Feurbach), è stato detto. Ed è sembrata una dichiarazione materialistica e basta. In realtà, è un’affermazione più alta, che dice come il cibo non sia solo nutrimento, ma lo specchio di ciò che siamo. Per questo i disturbi alimentari sono il riflesso del nostro stato e della nostra condizione e non semplicemente un problema biologico. Cos’è il cibo? Cibo è nutrimento certo, dal primo apparire della vita, anzi ancor prima nel grembo materno; ma è almeno altre tre cose.

Il cibo è la tavola alla quale ‘passiamo’. Ben più che un tavolino di formica in un angolo della cucina, ma il luogo dell’incontro, della condivisione, dell’allegria. Il cibo fa la tavola e la tavola celebra il cibo. Per questo nella società umana il mangiare è diventato da subito un elemento di differenza rispetto al mondo animale.

Il cibo è preparato, è cultura. Non è solo il frutto della terra, bensì anche frutto del lavoro dell’uomo, anzi più spesso della donna. Sin dal III millennio a. C., prima ancora dell’invenzione della scrittura, gli umani hanno iniziato a praticare l’arte della cucina, cioè del preparare, del trasformare gli alimenti in cibo per la tavola. Consumare lo stesso cibo e la stessa bevanda significa diventare insieme uno, stipulare un contratto, un’alleanza, riconoscere una prossimità, un’accoglienza reciproca, dare origine a una relazione o approfondirla, delineare un abbozzo di comunità. La preparazione del cibo richiede investimento di tempo e diventa l’espressione della cura. Fare da mangiare è un modo di comunicare all’altro i propri sentimenti. «Noi uomini non ci nutriamo l’un l’altro semplicemente per mangiare e bere, ma per mangiare e bere insieme» (Plutarco, Dispute conviviali).

Il cibo è giustizia o ingiustizia. Dalla possibilità di nutrirsi o meno dipende la pace nel mondo che è spaccato tra ricchi e poveri, tra obesi e affamati. Solo se condiviso il cibo fa bene, altrimenti diventa un veleno. Per questo nella preghiera di Gesù si dice «Dacci oggi il nostro pane quotidiano».

Tre effetti di questa riscoperta del cibo, che non è solo materia che va ingerita. La prima è essere consapevoli di ciò si mangia: «Detesto l’uomo che inghiotte il cibo senza sapere che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti» (C. Lamb, 1775-1834). Bisogna saper gustare con tutti i sensi. La seconda è stupirsi e meravigliarsi sempre: ogni tavola è un miracolo e va condiviso, abitando la tavola e non lambendola. La terza è mangiare con lentezza che aiuta a misurarsi e a condividere anche il poco.

«A tavola non si invecchia mai». Anzi, si impara a vivere bene.