«In quel tempo, avendo udito (della morte di Giovanni Battista), Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte». La notizia della morte violenta del Battista suscita una eco profonda in Gesù che reagisce ritirandosi da tutti. Gesù non fugge di fronte al vuoto in cui consiste il lutto per la perdita dell’amico, non si stordisce, ma nella solitudine tenta di comprendere quel che è accaduto. Anche noi dall’alba di ieri siamo rinchiusi in noi stessi, increduli e disperati. Sembra di riascoltare una vecchia canzone: «Dopo il silenzio soltanto è regnato tra le lamiere contorte sull’autostrada cercavi la vita, ma ti ha incontrato la morte, ma ti ha incontrato la morte». Sì, una cosa è certa: Teo cercava la vita con tutto se stesso ed aveva voglia di vivere. Un ragazzo aperto, disponibile, vivace e vitale. Tutto in lui sprizzava vita e voglia di vivere e di far bene: in famiglia, all’Università, con gli amici, a Poggio Bustone.
La canzone continua e ci inchioda: «Vorrei sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire, spendere tutti i tuoi giorni passati se presto hai dovuto partire». Se il silenzio è la nostra prima reazione a caldo, non è possibile censurare la domanda che si fa spazio dentro e cova. È una domanda ruvida che non ammette risposte affrettate o preconfezionate. L’importante è che resti conficcata al centro del cuore perché è la domanda della vita. La morte, infatti, non è un fatto che riguarda solo alcuni sfortunati che sarebbero beffati da un destino cieco, come Teo, ma è la condizione di ciascuno. Vien da chiedersi: «a che serve vivere, amare, soffrire se poi si parte tutti, prima o poi?». Anche Gesù non ha potuto evitare la domanda. Lui però non ha dato una risposta a parole, ma attraverso un gesto. Davanti alla fame della folla che lo circonda, infatti, Gesù invita i suoi discepoli: «Date loro voi stessi da mangiare». Come a dire, lasciate che le vostre mani chiuse e contratte, mani che si aprono solo per prendere e poi trattenere, si dischiudano nel gesto della condivisione. A che serve vivere? A far vivere tutti gli altri. Questo è quanto basta per vivere.
La canzone si chiude così: «Voglio però ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi». Non è soltanto l’ostinazione del cuore umano che non si rassegna, ma è la fede cristiana che autorizza a sperare non tanto in un vago ricordo, ma in un nuovo incontro. Come si ricava dalle parole dell’apostolo Paolo che non ha incertezze sul fatto che sulla strada della vita chi cerca la vita, la trova per sempre: «Io sono persuaso che né morte né vita,…né presente né avvenire,… né altezza né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore».