Se vuoi la pace, lavora sul sogno e fai di tutto per realizzarlo, già ora, già qui

Messaggio alla città in occasione dei solenni festeggiamenti in onore di sant'Antonio di Padova
29-06-2025

Carissimi amici e devoti di sant’Antonio,
autorità civili e militari tutte, cittadine e cittadini tutti,

come di consueto tocca al Vescovo rivolgere un messaggio alla città in occasione di questo speciale giorno di festa in onore del nostro Santo. Lo faccio volentieri.

Avvertiamo il legame della nostra città con sant’Antonio. È commovente che la festa di un uomo vissuto così tanto tempo fa sia ancora festa attorno alla quale si incontra un’intera comunità. Consentitemi di dire che è un piccolo miracolo questo non dimenticare, ma continuare a celebrare insieme. Consentitemi di partire proprio da qui, da questo salto che coniuga passato e presente.

Qual è il senso della memoria? Non è soltanto ricordo, ma è vita che impara da ciò che è stato.

E cosa possiamo imparare noi da questo Santo che ci osserva con tenerezza, quasi con discrezione, mentre lo festeggiamo?

Antonio è stato francescano, ma più ancora un buon cristiano, dunque un buon uomo. Uomo di pace, perché è stato e resta un invito al prendersi cura l’uno dell’altro. La memoria del suo nome ha senso per noi che lo festeggiamo, perché è memoria di un sogno che può generare realtà: che la pace sia con noi, ovvero che ognuno sia per l’altro fratello e sorella. Questo è il sogno che può generare realtà.

Qualcuno potrebbe sorridere, additando come infantile questa utopia. Ma è nudo e crudo il Vangelo, e lo è pure il sogno di Antonio e di quanti lo seguono.

Sì, io ho fiducia che anche il più cinico tra noi sogni nel suo profondo che non si debba guardare le spalle e che magari, dopo un momento così sentito che stiamo vivendo, il miracolo non sia una guarigione esteriore, ma una interiore.

«Che la pace sia con tutti voi», ha detto papa Leone XIV appena eletto, presentandosi dalla Loggia di San Pietro. Quella augurata è la pace di Cristo, oggi più che mai necessaria, quanto il pane, quel pane che oggi pare essere ancora un lusso, soprattutto nei paesi in guerra, negato talvolta persino ai bambini.

Dobbiamo allora darci il permesso di sognare per riscrivere le logiche del mondo con la logica rivoluzionaria del Vangelo, che Antonio trasformò in cura per chiunque incontrò con i suoi sermoni, ma prima ancora – e più ancora – con la sua stessa vita.

Il mondo intero sembra però procedere in un’altra direzione, ed è proprio per questo che possiamo invocare il miracolo di un cambiamento, quello di chi ha il destino del mondo tra le sue possibilità di cura o di distruzione.

Ogni giorno, ogni volta che stiamo al cospetto di un altro, siamo davanti a una domanda fondamentale e decisiva: cura o distruzione?

E occorre scegliere, scegliere sempre, senza lasciare che la vita accada senza coscienza. E poiché siamo qui: scegliamo come Antonio, altrimenti il nostro affetto per lui resta cosa vana.

Liberiamoci dell’illusione di non essere tutti uno: il più piccolo dei fratelli, la più piccola delle sorelle, di qualsiasi nazione, colore o religione, è nostra cura e parte di noi. Così ci ha detto chiaramente Gesù a proposito di quello che accadrà al termine della storia.

E se quell’ultimo giorno fosse oggi?

Curare o distruggere, ecco il tema centrale del Giudizio finale. Siamo pronti e capaci della scelta più difficile, eppure più liberante?

Ai nostri giovani, all’esame di Stato quest’anno, è stato chiesto di scrivere un tema sul rispetto: di cosa hanno scritto guardando a noi? Di cosa faranno memoria quando noi non ci saremo più? Cosa di noi, loro educatori, celebreranno, festeggeranno, ricorderanno? Che rispetto chiediamo? Che rispetto offriamo? Che rispetto incarniamo?

Rispettare è imparare a non sconfinare, è considerare la terra interiore dell’altro come uno spazio sacro che non può mai essere invaso né posseduto. Ma non basta: rispettare è posare l’ascia, è porre mano all’aratro, è seminare, è coltivare, è costruire pietra su pietra, evitando di non imparare nulla dal passato, e il presente che stiamo vivendo ne è immediata dimostrazione.

Sant’Antonio ci chiede di scegliere di curare e non di distruggere, sebbene la seconda decisione possa farci sentire più potenti e più forti.

Fratelli, sorelle, Antonio, nostro amato Santo, ci invita a fare memoria della sua vita adesso, affinché questa celebrazione sia trasformativa: la pace è veramente con noi?

Sia con noi la pace, fuori e dentro. Spegniamo i focolai di guerra domestici, nei contesti di lavoro, nei nostri quartieri, nelle città, nei paesi; bonifichiamo i nostri linguaggi, mettiamo da parte sospetti e astiosità, per ricevere da Antonio il miracolo della conversione: dall’estraneità alla familiarità.

Ecco la rivoluzione del Vangelo che i santi hanno vissuto senza se e senza ma. Da questa Valle Santa, che vorrei diventasse – nel nome di Francesco e di Antonio – una possibile Officina della Pace, si innalzi una indignazione collettiva per ogni violenza, specie per quella che prende la forma assurda della guerra.

Solo alcuni giorni fa papa Leone così diceva:

«È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con false propagande al riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? La gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti!».

La festa, cari amici, la devozione al Santo non ci mette al riparo da tanti interrogativi. Anzi, da essi lasciamoci ferire: sarà una sana ferita, perché si inverta la tendenza alla follia distruttiva che sembra essersi impossessata della nostra comune umanità, rasentando talora la disumanità.

Sì, sant’Antonio ci ottenga un sussulto di umanità collettiva, prima che sia troppo tardi. E solo allora sarà davvero festa.

Se vuoi la pace, lavora sul sogno e fai di tutto per realizzarlo, già ora, già qui.