Cari fratelli e sorelle,
ci accompagnano provvidenzialmente in questa celebrazione pasquale due pagine bibliche molto significative.
La Parola di Dio è provvidenza. Ha ragione Lacordaire: “Questo solo so per il mio domani: la Provvidenza sorgerà prima del sole”.
Spesso il nostro cuore è rattrappito come quello dei due di Emmaus o come la carne e l’animo dello storpio accasciato dinanzi alla porta Bella del Tempio. Il Divino Viandante però, sorprendentemente, a ciascuno si fa vicino e così fanno Pietro e Giovanni, prolungando nel tempo l’esperienza e la presenza stessa di Gesù, presenza che consola e ristora, incoraggia e rialza, scuote e rimette in cammino. La Pasqua del Signore infonde una grande certezza: tutto ciò che è distrutto viene ricostruito. Così abbiamo pregato la notte di Pasqua.
Alle pagine “incompiute” del Libro degli Atti degli Apostoli fanno seguito altre pagine che lo Spirito e la Sposa vanno scrivendo nella storia bimillenaria della Chiesa, servendo così lo Sposo della Chiesa e dell’umanità intera, Cristo Gesù. Pure noi siamo testimoni oculari di pagine stupende che il Signore ha scritto anche in questi dodici anni accompagnati dalla figura paterna e profetica del Successore di Pietro, Francesco, il papa venuto dall’altra parte del mondo a “confessare” Colui che non passa, che di tutti ha cura, con la prefererenza dei piccoli e dei poveri, insegnandoci che questa predilezione è una scelta teologica, non sociologica: la Chiesa non può che fare così perché così fa Dio!
Papa Francesco tutto questo l’ha vissuto non già con l’altisonanza delle parole ma con quel “magistero dei gesti” che ha disseminato in ogni modo e in ogni luogo facendosi lui stesso segno della Misericordia e della Tenerezza di Dio. Sì ha parlato con la vita, accarezzando e benedicendo fino all’ultimo, fino all’ultimo giorno della sua vita terrena, mostrando con i fatti cosa volesse dire essere pellegrino di Speranza. Ha varcato con l’odore delle pecore la soglia dell’eternità beata nell’anno giubilare, nella settimana più santa e gioiosa, quella dell’Ottava di Pasqua. Nelle ultime parole del Messaggio “Urbi et Orbi”, che conserva valore di Testamento, alcune ore prima della sua morte, aveva detto: “Cari fratelli e sorelle, nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte. Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose”.
Personalmente mi danno consolazione queste sue parole, in questo momento molto triste anche per me-lasciate che ve lo dica col cuore in mano…-ma consapevole anche che è Cristo, l’Alfa e l’Omega della vita e della storia, il Primo e l’Ultimo a guidare e ad accompagnare il cammino della Chiesa, sulla quale le forze degli inferi non prevaranno.
Avremo tempo e modo per ritornare sulle sue parole, per capire meglio la sua dirompente forza profetica, per meditare i suoi gesti, spesso controcorrente, spesso non capiti, come quelli di Gesù…
Come Chiesa reatina sentiamo un debito particolare anche per le quattro visite fatte nella nostra Diocesi, da Amatrice alla Valle Santa. Ha voluto farsi così testimone, sulle orme del Poverello d’Assisi, del mistero dell’Incarnazione, di quel Dio che facendosi carne in un certo senso si è legato ad ogni umana creatura, specie alle più indifese e sofferenti, come ci insegna il Concilio.
Conserviamo anche l’ultimo Messaggio da lui stesso autografato, donatoci in occasione del pellegrinaggio giubilare diocesano lo scorso 29 marzo a Roma, nel quale ci ha ricordato che “soprattutto alle persone più deboli e bisognose siamo chiamati a testimoniare l’amore che, come fiamma viva, dona forza al cammino della vita”.
Mi permetto di considerare che c’è una tristezza che si porterà nel regno di luce: nell’aver lasciato questa terra mentre troppi focolai di guerra bruciano, con un’ingiustizia che sembra non lasciare in pace i poveri e i popoli più poveri che non trovano sollievo né nelle loro terre né quando sono costretti a scappare e a chiedere asilo nelle nostre. Apriamoci a tutto il messaggio di Francesco, non solo ad una parte! Le parole sui migranti, sui detenuti, sul no al riarmo non sono altra cosa da quegli aspetti più “teneri” che ci trovano più accoglienti…
L’Eucaristia che stiamo celebrando non è il Sacramento degli arrivati, né dei primi della classe. È per questo che osiamo sedere a questa Mensa. Nella Parola ascoltata e nel Pane spezzato anche noi, superando stoltezza e durezza di cuore, apriamo gli occhi e scopriamo e leggiamo la vita palpitante di Gesù e facciamo memoria grata di quanti, come papa Francesco e tanti altri, non l’hanno trattenuta per sé ma l’hanno spezzata e donata fino in fondo, fino all’ultimo. Sentiamoci provocati a fare altrettanto. Siamo tutti come storpi che il Signore desidera rialzare per poter a nostra volta aiutare a celebrare Pasqua nella vita di tanti che lo attendono e sono feriti dal male. Davanti a questa umanità che anela a risorgere anche noi, come Pietro e Giovanni, come papa Francesco, facendoci testimoni e compagni di viaggio, prendendo per mano e sollevando, potremo dire: Nel nome di Gesù, Alzati e cammina. Solo vivendo così speriamo che pure la nostra vita non sarà stata vana.