«Torna, Israele, al Signore, tuo Dio, poiché hai inciampato nella tua iniquità». Si conclude così il libro di Osea (vissuto nella metà del VII secolo), la cui vicenda personale (sposato con una prostituta infedele, di nome Gomer) diventa metafora del popolo che si allontana da JHWH, il quale, tuttavia, non si arrende e invita a tornare. In che consiste questa sorta di marcia indietro? Lo abbiamo appena ascoltato: «ritorneranno a sedersi alla mia ombra». Non si tratta di compiere azioni o sacrifici, ma solo di aprirsi all’azione di Dio. Uno degli errori più ricorrenti si chiama pelagianesimo. Consiste nel cercare la salvezza «nelle cose che l’uomo potrebbe ottenere da sé come il possesso o il benessere materiale, la scienza o la tecnica, il potere o l’influsso sugli altri, la buona fama o l’autocompiacimento» (Placuit Deo, 6). Ma niente di tutto questo ci salva. Solo Dio può veramente soddisfare l’uomo nel profondo. Stare in adorazione davanti a Dio è un modo concreto per convincersi che questa apparente passività è un modo semplice ed efficace per lasciarsi fare da Lui.
«Qual è il primo di tutti i comandamenti?», chiede nel testo di Marco un anonimo scriba che intende far chiarezza su ciò che è veramente importante. A quel tempo c’era una discussione accesa sui comandamenti della Torah, contandosene ben 613: 365 divieti (come i giorni dell’anno) e 248 precetti positivi (come il numero delle ossa del corpo). Quando tutto è importante però niente lo è veramente. Di qui la domanda al Maestro. Il quale, di per sé, nel rispondere non dice nulla di originale, neanche quando unisce l’amore di Dio a quello del prossimo. Tant’è che lo stesso scriba aggiunge di suo: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, […] amarlo […] e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Ciò che è importante è amare, cioè spostare l’attenzione da sé verso Dio e l’altro. In effetti, l’altro pericolo dell’uomo è lo gnosticismo cioè la conoscenza della realtà, senza farsi toccare dalle sue contraddizioni. Non basta però sapere senza coinvolgersi e limitarsi a guardare da lontano. Starsene in silenzio davanti a Dio è un antidoto a questa falsa interiorità, mettendoci a contatto con la carne del Signore Gesù, morto e risorto per noi. Se infatti non cambia niente in noi, niente cambia fuori di noi.
Pelagianesimo e gnosticismo ci rimandano al nostro peccato che è fatto di presunzione di far da sé e di lavarsi le mani dalla realtà. Starsene davanti a Dio è il modo per reimparare che solo Lui ci fa camminare per sentieri diritti e non tortuosi e per ritrovare così l’energia e il disinteresse di impegnarci per gli altri. Allora meriteremo l’elogio del Maestro: «Non sei lontano dal regno di Dio». Dio, infatti è là dove l’uomo si lascia raggiungere e dove il prossimo non è ignorato.