Omelia in occasione dell’ammissione agli ordini sacri del seminarista Marcello Imparato. IV Domenica del tempo ordinario (C)

Ger 1,4-5.17-19; 1 Cor 12,31-13,13; Lc 4, 21-30
03-02-2019

«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto». La conoscenza scientifica della vita intrauterina è una scoperta formidabile che toglie il respiro. Ma qui si risale ancora più all’indietro per affermare di essere conosciuti ancor prima di esistere. Geremia sente così di essere destinato a un compito preciso, per il quale è stato ‘separato’ e cioè diventare profeta delle nazioni. Avere questa ‘certezza affettiva’ è la risorsa decisiva per chiunque. E credere è avere questa certezza, che va oltre il Fato cieco. Giacché delle due l’una: o crediamo di essere stati pensati, cioè amati, oppure ci affidiamo alla fortuna e alla sfortuna. Tu, caro Marcello, mi hai scritto che “fin dalla più tenera età mi ha accompagnato la consapevolezza di essere una creatura amata da Dio, un suo figlio, oggetto del suo potente Amore”.

«Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò», così prosegue il testo del profeta Geremia. Si cingevano i fianchi per lavorare, per mettersi in viaggio o per portare un annuncio, ma anche per affrontare un combattimento. Geremia è chiamato ad affrontare nemici palesi ed occulti, ma gli basterà affidarsi a Dio. E’ quel che mostra Gesù a Nazaret dove – dopo un iniziale entusiasmo da parte dei suoi compaesani – rischia la lapidazione. Gesù, pur nel drammatico contrasto, appare forte e sicuro di sé e – come annota il testo di Luca – «passando in mezzo a loro, si mise in cammino». Gesù non fugge, ma semplicemente riprende il suo cammino, senza cedere alla pressione dei nazaretani. Così facendo non smette di amarli, ma li invita ad andare oltre se stessi. In ciò consiste l’amore adulto, di cui Paolo ci offre le coordinate. La prima è che l’amore «non si vanta, non si gonfia». Cristo non ama il clamore. Preferisce la discrezione e la dissimulazione, si nasconde sotto il velo della normalità. E questa è una prova del suo amore. La seconda è che è l’amore «non cerca il suo interesse». Chi ama sul serio? Chi non si limita ad accontentare, ma sa far crescere chi incontra, anche a costo di deludere. Infine, l’amore «non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità». Ciò che sta a cuore al Maestro è dire le cose come stanno. Quel che Dio vuole e non quel che reclama il nostro Ego.

Questo è il compito del profeta e, vorrei aggiungere, anche del prete, caro Marcello, visto che oggi chiedi di essere ammesso tra i candidati al presbiterato. Una cosa ti auguro: l’entusiasmo di vivere questa chiamata e di verificarla con la chiesa che ti accoglie per questa ragione. Sii elegantemente capace di riconoscere i tuoi limiti e di non farti condizionare dagli altri, ma come Gesù di «passare in mezzo per metterti in cammino».