Omelia in occasione della terza domenica di Quaresima

(Es 31-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10, 1-6.10-12; Lc 13, 1-9)
24-03-2019

«Mi diranno: qual è il suo nome? E io che cosa risponderò loro? Dio disse a Mosè: Io sono colui che sono!».  Il dialogo tra Mosè e Dio ha dell’incredibile come il roveto che sorprendentemente ‘brucia senza consumarsi’ al punto da attirare l’attenzione del pastore. Nella risposta enigmatica di Dio c’è l’affermazione di una presenza e insieme di una reticenza. Per un verso Dio assicura che c’è, è presente e in azione. Non è una forza impersonale della natura: è invece una Persona che entra in relazione con Abramo, Isacco e Giacobbe. Allo stesso tempo si coglie un attimo di reticenza perché Dio non vuol lasciarsi strumentalizzare dall’uomo e mai può essere compreso del tutto nel suo mistero.

L’episodio evangelico che parte da due tragiche vicende di cronaca offrono al Maestro la possibilità di chiarire il volto vero di Dio. A prima vista si potrebbe pensare che la morte violenta di alcuni Giudei da parte di Pilato e quella di alcuni operai uccisi dal crollo di una torre sia l’effetto dell’ira di Dio. Ma Gesù chiarisce: «Credete che quei galilei fossero più peccatori di tutti i galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Noi ragioniamo sempre in termini di castigo di fronte a fatti dolorosi. Ma Gesù vuol distruggere questa immagine di Dio che castiga tanto cara agli uomini religiosi di ogni tempo. E perciò rincara la dose: «Quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Così ci viene instillato che ogni vita è precaria, fragile, a rischio. Per questo occorre cambiare. E non si dice come, ma se ne afferma l‘urgenza. Bisogna cambiare radicalmente se la vita è così transitoria deve cambiare il nostro approccio alla realtà. Sapere che siamo così transitori ci cambia lo sguardo. E si ‘torna’ all’essenziale.

«Tu lo taglierai, non io!». Gesù conclude con una struggente parabola dove si crea un contrasto tra un padrone e un contadino. Il primo è stufo di aspettare un frutto che non arriva; l’altro sa attendere con pazienza. E chiede una dilazione. E comunque a tagliarlo non sarà certo lui. Questa tensione tra il padrone e il contadino dice quale sia il volto di Dio. Quello ovviamente del contadino che sa attendere a ancora una volta offre un’opportunità. Questa è la conversione da operare nel nostro immaginario di Dio che trasforma anche il nostro approccio agli altri. Non rassegnarsi ai fallimenti ma spingere perché ogni mattina si ricominci daccapo. Urgenza e pazienza, minaccia e incoraggiamento non si contraddicono.