“Credimi, donna, viene l’ora in cui per adorare il Padre né questa montagna è necessaria né Gerusalemme”. Gesù poi chiarisce: “Dio è spirito, e perciò chi lo adora deve adorarlo in spirito e verità”. In effetti, la domanda posta dalla donna è ancora chiusa nel passato. Il Maestro la costringe a guardare al futuro e a prendere coscienza che nel mondo è arrivata la novità. Così la questione del luogo non ha più senso. Ora è Gesù che è divenuto il nostro tempio, che sostituisce da questo momento il santuario del monte Garizim e quello di Gerusalemme. Ho l’impressione che anche noi ci muoviamo ancora nel passato, quando l’unico criterio di valutazione della fede è quelli che vanno a messa la domenica. Ma è proprio così? E anche quando lo fosse, sarebbe sufficiente la pratica festiva per dirsi cristiani? Cosa fare piuttosto per avere “come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù”?
La prima cosa è, ovviamente, l’annuncio di Gesù Cristo. Questo precede la stessa catechesi che è un perfezionamento dello stesso. La vera questione, dunque, non è se riprendere o meno il catechismo, ma seminare il vangelo, cogliendo al volo ogni occasione. E farlo senza ansia, ma con gratuità. Il catechismo, se non è solo un’aula di catechismo, ma un’esperienza educativa che introduce alla vita, non ha problemi col virus, se ci sono nuove idee e nuovo entusiasmo. Già nel 2021 poi riprenderemo le celebrazioni dei sacramenti.
La seconda cosa è “azzerare le distanze”. Il virus ha imposto un distanziamento fisico che è niente però rispetto alla distanza affettiva e relazionale che qualche volta si coglie tra noi pastori, tra le religiose/i, tra gli stessi laici. La chiesa non è un luogo più o meno affollato, ma dovrebbe essere una casa ospitale ed aperta, dove sentirsi riconosciuti. La messa domenicale è lo specchio della vita di una comunità. Bisogna lavorare sulle relazioni interpersonali.
Il terzo è “costruire la società”. La carità oggi più necessaria è reagire a quel senso di “fine dell’impero” che pervade ogni ambiente. Per i cristiani non c’è nulla di estraneo rispetto a quello che succede fuori dalla porta delle chiese, perché il campo è il mondo e la chiesa è per il mondo. Mai come durante la pandemia abbiamo toccato con mano che dove c’è gente disinteressata è possibile superare la paura e l’angoscia della solitudine. Così deve essere la chiesa che arriva dove gli altri fanno finta di non guardare.
“Come gli uccelli del cielo” non è poesia, ma è ritrovare la gioia e la libertà del futuro, liberandosi dalla tristezza e dal peso del passato.
Maria preghi per noi!