«Ma dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina». Gesù replica così ai farisei che vorrebbero incastrarlo sulla questione del divorzio, permesso da Mosè. Il divorzio, dunque, esisteva già 1000 anni prima di Cristo! Il problema era che tra i rabbini ci si divideva: per alcuni era lecito solo a causa dell’adulterio (scuola di Shammai), per altri qualsiasi ragione era buona (scuola di Hillel). Ciò che sta a cuore a Gesù è sottrarsi a questa casistica e tornare al principio, cioè al sogno di Dio sull’umanità. E cita proprio il testo della Genesi che di per sé mira a fondare la specie umana e non l’unità della coppia. Ma Gesù argomenta dal disegno originario per affermare due cose: uomo e donna (ish e issha, cioè uomo e donna) hanno una comune origine e una pari dignità. Di conseguenza, la relazione è la strada per uscire dalla solitudine: all’uomo non basta esistere, né gli bastano il lavoro e il dominio sulle cose. La sfida di sempre è l’uguaglianza nella differenza. Perché si tende o ad annullare l’una o l’altra. Oggi c’è ancora chi osa negare la parità tra i sessi ed invoca un ritorno all’indietro, dove sostanzialmente uno sta sopra all’altro. Ma c’è anche chi nega la differenza tra maschio e femmina, al punto di ritenere secondario o irrilevante il sesso, quasi che ciascuno decida come e quando vuole. Sono due negazioni che spiegano la fatica di realizzare storicamente la vicenda matrimoniale e, più in generale, i rapporti umani. Dietro le crisi, i tradimenti, le fughe si nasconde sempre o l’una o l’altra cosa. Per questo è decisivo ritrovare l’armonia delle origini. In particolare, sperimentare lo stupore ammirato di Adamo, che si commuove per aver finalmente trovato l’interlocutore alla pari che riesce a farlo uscire dal monologo. E, al tempo stesso, sperimentare la contraddizione di trovarsi di fronte a chi non è un nostro clone, ma uno che ci offre un altro sguardo sulla realtà. Diversamente non si cresce, ci si arresta e l’umanità è priva di futuro.
La pagina evangelica si chiude con i bambini di cui Gesù tesse l’elogio: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio”. Il pregio dei piccoli è che si aprono agli altri diversi da sé, ma con fiducia di essere accolti. Essi sanno istintivamente di essere uguali e differenti. L’augurio è di crescere in questa dinamica: rispettarsi come pari ed accogliersi nella diversità. Diversamente il mondo non va avanti perché l’immagine di Dio autentica è ‘maschio e femmina’. Il resto è solo un suo impoverimento: zitelle o zitelloni, don Giovanni o donne virago, non fanno per il Regno di Dio. Lo aveva capito anche san Francesco per il quale non a caso la comunità dei frati deve riprodurre quella di una famiglia con un padre e una madre e dei figli. Perché solo nella relazione si ha la sua immagine. Tutto il resto è un suo impoverimento.