Oggi, virus permettendo, avremmo celebrato la messa crismale, anticipando il giovedì santo che è il prologo del triduo pasquale, e, in particolare, il giorno dell’Eucaristia e del prete. Permettete, dunque, che un pensiero speciale sia rivolto ai preti, da parte di tutti, credenti e non credenti. “Preti” è il diminutivo di presbiteri che è il modo con cui il Nuovo Testamento identifica i pastori, non per dire che sono anziani, ma per rimarcare che vedono bene da lontano. E Dio sa quanto sia necessaria questa lungimiranza in tempi in cui solitamente non si va oltre il proprio naso.
Ai preti viene spontaneo pensare come quelli che ci mettono la faccia ogni giorno e stanno a contatto con la gente, di cui subiscono l’affetto, ma anche le paturnie. Per questo il prete è il terminale più sensibile delle attese e delle critiche della qualunque. Anche perché è costume diffuso oggi prendersela con chi ha un ruolo, a prescindere. Ai preti, dunque, che non amano troppi fronzoli, oggi va detto grazie, non senza aver formulato un augurio.
Il grazie prima ancora che per quello che fanno è per la loro tenuta nel tempo. Ammonisce O. Wilde: “Quante sono le vedove dei mariti che credevano di aver sposato”. Anche i preti vanno incontro a concenti delusioni e subiscono inevitabili metamorfosi. Ma sono da ringraziare doppiamente se ciò nonostante non mollano, restano al loro posto e si fidano più di Dio che di se stessi.
L’augurio è che il prete sia “l’uomo dal cuore trafitto”. Non “dal cuore spezzato” che evoca un’affettività oggi assai diffusa fatta di narcisismo, autocompiacimento, psicanalisi. Il “cuore trafitto” del prete è quello di Cristo che lascia venir fuori dal costato “sangue ed acqua”. Ciò che fa di un prete non una vittima ma un guaritore ferito è sublimare la sofferenza e farne una prova d’amore. Soprattutto quando ci vuole tempo e pazienza: “Sit amoris officium pascere dominicum gregem!” (S. Agostino).
Grazie e auguri a ciascuno dal più piccolo al più grande dei nostri preti.