Consacrati con olio di letizia per portare il lieto annuncio

Omelia in occasione della Messa del Crisma
16-04-2025

Fratelli e sorelle, amati nel Signore,
l’anno giubilare mi porta a considerare il filo rosso della gioia che pervade questa liturgia come tutto il Triduo pasquale, che culminerà nella Madre di tutte le Veglie e che traboccherà in tutta la cinquantina pasquale, che per i Padri della Chiesa è da considerarsi, come un’unica grande Domenica, spazio lietissimo.

La realtà dell’olio profumato è quasi sempre accompagnata dal segno distintivo della gioia. Già Isaia mette in luce la missione di chi è inviato per allietare gli afflitti di Sion…per dare loro olio di letizia invece dell’abito da lutto. Fra poco, consacrando gli Olii, faremo memoria del Re Davide, che cantò quest’olio capace di far brillare di gioia il nostro volto. E chiameremo il crisma “olio di esultanza” e, ancora, contempleremo l’unzione di questo profumo che rende lieto e sereno il nostro volto.

La Gioia… questa grande sconosciuta dei nostri tempi. Paolo VI affermò nella Gaudete in Domino (1975) che “la società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia”. A distanza di cinquant’anni queste parole sembrano cristallizzarsi nella nostra realtà. Ma diventa raccapricciante constatare che la gioia possa diventare merce rara anche nella nostra vita cristiana ed ecclesiale, come pure nella nostra vita di ministri del Signore. Sembra non poche volte che il lamento prevalga sullo stupore, lo sconforto sulla gratitudine, il calcolo sulla speranza e che la gioia sia davvero “la grande sconosciuta”.

Ci suonano provocanti le parole di F. Nietzsche dirette ai cristiani quando in Umano, troppo umano affermava: “Ma voi, se la vostra fede vi rende beati, datevi dunque per beati! Le vostre facce sono state per la vostra fede sempre più dannose delle vostre ragioni. Se il lieto messaggio della vostra Bibbia vi stesse scritto in viso, non avreste bisogno di esigere così ostinatamente fede nell’autorità di questo libro”.

Diventa provvidenziale per tutti noi, corpo crismato del Signore, abbeverarci alla Parola di Dio per trovare realmente in Gesù il Giubilo e il Giubileo della nostra vita, fino a quando questa gioia sarà piena nel suo Regno ma che intanto possiamo già godere come pellegrini.

Gesù solo sa donare vera gioia all’esistenza, tirandola fuori dalle prigioni del privatismo, dell’individualismo, dell’autosufficienza, da quelle che più che comfort zone sono delle vere e proprie “scomfort zone” e dentro le quali troviamo una “pace” che pace non è.
In questo giorno così solenne e speciale per tutti noi e specie per noi presbiteri, dobbiamo chiederci: sono disposto ad ammettere di aver bisogno della persona di Gesù, della relazione adulta con Lui e con i fratelli? Sono disposto a riconoscermi povero, prigioniero, cieco, oppresso? Il Messia viene allora per me: oggi c’è una Parola che mi viene a cercare, desidera compiersi in me per la mediazione di Cristo, nella forza dello Spirito, sotto lo sguardo del Padre, custode meraviglioso dell’opera di salvezza che Dio anche in mezzo alla cronaca contemporanea porta avanti, caparbiamente.

Nel giorno nativo del sacerdozio rinnoviamo soprattutto il bisogno di guardare in direzione di Gesù e di chiedere il dono della gioia, della letizia, quella che Francesco ci ha lasciato nel suo Cantico delle Creature ottocento anni fa, celebrandola in un corpo ferito dalle stimmate e provato dalla malattia ma che non smetteva di lodare l’Altissimo con grande umiltà.

Se è vero cari fratelli presbiteri che siamo chiamati ad essere ministri della gioia, siamo anche consapevoli che questa gioia va anzitutto ricevuta, e perciò ricercata e desiderata. Gioia a caro prezzo perché ha il sapore della Pasqua, ha la forma della Croce, ha la profondità del Dono. Non si tratta dell’allegria frizzante che sale velocemente ma dura poco, come quella che ci procuriamo da noi stessi: un riconoscimento, una gratificazione, un ruolo, un apprezzamento. Questa lascia il tempo che trova. La Gioia del Vangelo è Dono, ha la sua consistenza nel sentire su di sé lo sguardo di Colui che ci ha amati e ha dato tutto se stesso per noi (cfr. Gal 2,20).

Mi sembrano molto calzanti alcune espressioni di papa Francesco ai sacerdoti: l’incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci pone tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze (Omelia del Santo Padre Francesco – Messa del Crisma – Giovedì santo, 17 aprile 2014).

Quanta verità in queste parole! Non dobbiamo vergognarcene cari fratelli. Anzi! Forse anche come presbiterio dobbiamo ripartire da questa consapevolezza radicale: la nostra povertà! Certo, Dio nel suo grande amore, col dono del suo Spirito, ha preso possesso della nostra vita, l’ha rivestita, l’ha graziata, ci ha unti con olio di letizia, ha riempito le nostre mani coi tesori della sua Grazia, ci ha trasformato radicalmente. Ed è proprio dinanzi alla nostra personale povertà, come vasi d’argilla, ci fa scoprire e riscoprire con stupore il dono che sopravanza e la misericordia di cui veniamo rivestiti. È questo che fa fiorire la gioia, una gioia che niente e nessuno potrà toglierci, nemmeno le inevitabili prove del ministero, prove interne ed esterne.

Ritorniamo frequentemente cari fratelli, agli inizi del nostro cammino vocazionale, alle primizie della gioia del nostro ministero. Avevamo negli occhi l’entusiasmo degli innamorati, di chi si è sentito, come i profeti, sedotto nel cuore e nonostante tutte le voci contrarie ci bruciava il fuoco, impossibile a dominarlo perché l’amore è forte come la morte, anzi di più. Abbiamo lasciato gli ormeggi, la barca e la casa dei nostri genitori e pur tra tante domande ci siamo fidati e affidati e quel ci ha portati lontano, in una disponibilità a tutto campo, senza soste se non sulla spalla del Maestro. Cari fratelli presbiteri facciamo memoria, facciamo più spesso “esercizi di memoria” del dono che ci è affidato, riattizziamo il fuoco, contempliamo in una vita spirituale sempre più solida la gioia del saperci chiamati e unti dal Signore. Dio rinnovi in noi questa gioia ben sapendo che il contrario della gioia non è la tristezza ma la mediocrità, è ridursi in una vita scialba, melanconica, dove magari si ricordano le gesta dei primi tempi della storia vocazionale e ministeriale, i ruoli, le aspettative e le delusioni ma solo questo ci ridurrebbe a mestieranti, ad altra cosa rispetto al sogno originario del Signore e il disincanto prenderebbe il sopravvento.

La nostra unzione avvenuta con olio di letizia porta sempre verso una tappa pasquale e perciò chiede che la nostra vita sia purificata, come in mezzo al crogiuolo… Non è la fine come potrà sembrare ma l’inizio di un tempo rinnovato in cui Dio ci fa maturare, secondo la stupenda espressione di Etty Hillesum: Dio matura. Spesso il nostro cuore per codardia si blocca su ciò che passa e si perde e dimentica ciò che Dio è capace di far gemmare pure nel deserto. Se lo scoraggiamento si affaccia, se la fragranza dell’unzione sembra non profumare più la vita e la routine quotidiana sconfina a poco a poco col compromesso, Dio non smette di desiderare un nuovo ricominciamento e ci rassicura che anche il Calvario può diventare la sala parto di una nuova creazione. Dove tutti leggono morte Dio scrive e va scrivendo vita e non smetterà di farlo. E facendo questo ci fa del bene e ce lo fa comprendere. Davvero senza lo Spirito Santo di Dio non c’è Pasqua, non c’è gioia, non c’è ministero gioioso.

Siamo unti con olio di letizia per portare il lieto annunzio. Ai poveri anzitutto. L’unzione ci fa missionari. Cari fratelli presbiteri, la presenza questa sera di tanti nostri fratelli e sorelle della nostra Chiesa diocesana e la preghiera di tanti ci ricorda di dover stare dinanzi a loro, dinanzi al mondo e alla storia, mai come proprietari della loro fede ma come collaboratori della loro gioia (cfr. 2Cor 1,24).

Siamo chiamati ad essere ministri della felicità della gente, cirenei della gioia (T. Bello), per portare il Vangelo in ogni situazione. Come la Chiesa degli Atti vogliamo imparare ancora da Pietro e Giovanni a saper entrare nel Tempio danzando e lodando Dio con lo storpio finalmente risanato “nel nome di Gesù” (cfr At 3-4). Il Buon pastore ci ha unti col suo Spirito, ci porta oltre noi stessi nel farci servitori di una rinnovata gioia di vivere, nonostante le tristezze e il mal di vivere che può assalire pure noi soprattutto in questo momento storico faticoso, difficile e disorientato.

Grazie cari fratelli presbiteri. Grazie a ciascuno per la dedizione, per l’impegno, per l’offerta generosa che, in luoghi e ambienti diversi, quotidianamente ponete sull’Altare del Signore e tra la vita faticosa della gente, fino a diventare tutt’uno sempre più con Lui e col popolo affidato.

E voi cari laici, fratelli e sorelle carissimi, riconoscete che questo Crisma di salvezza è affidato anche a voi col Battesimo e la Cresima e vi porta a vivere la vostra vocazione e missione negli spazi impegnativi della storia, nella storia impegnativa di oggi. Anche voi siete chiamati a “crismare il mondo”, a ungerlo, ad essere nel mondo il profumo stesso di Cristo. Cari Laici, prendete sul serio la vostra vocazione, preziosa come quella di noi ministri ordinati. Grazie per la vostra esemplarità in famiglia, sul posto di lavoro, nel volontariato, nelle nostre comunità e realtà ecclesiali, nelle relazioni e nei diversi spazi sociali. In quante situazioni avete la grazia di poter entrare, voi più di tutti, per portare il sapore del Vangelo, la testimonianza di Gesù, la carità stessa di Dio. Non sentitevi mai subalterni. Siamo insieme, vescovo-presbiteri-diaconi-laici-consacrati, l’unico popolo di Dio, perdutamente amato dal Signore e con Lui sempre avanti, senza scoraggiamenti anche quando la pochezza del raccolto vorrebbe svilirci. Non sia mai! Coraggio! Il tempo che viviamo è il tempo opportuno per vivere il Vangelo, qui, oggi!

Gaudete in Domino! Gioite nel Signore! Non dimenticate mai che Dio è pieno di gioia. E questa gioia non la trattiene per sé. Desidera generosamente farla traboccare su noi suoi figli. La gioia del Buon Pastore è la gioia di chi ama per davvero, fino alla fine: i giorni del Santo Triduo ci coinvolgano e ci ricordino fino a che punto siamo stati amati.

A tutti e a ciascuno sento di dire guardandovi negli occhi: La Gioia del Signore è la nostra forza! E che questa Gioia non vi abbandoni mai.

Amen.