«Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Le infuocate parole di Paolo ai cristiani della Galazia fanno emergere la novità del cristianesimo: ciò che unisce, al di là delle differenze culturali, sociali ed economiche, e perfino quelle legate al sesso è l’essere “figli nel Figlio”, e, dunque, fratelli e sorelle tra di noi. È quanto papa Francesco ci ha rivelato nella sua ultima Enciclica, nella quale scrive: «Non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici» (Omnes fratres, 53). Le radici sono almeno due: la prima è che una persona non può vivere senza l’altro. È l’altro che mi fa esistere. La seconda è un antivirus che è la capacità di ascolto, come diceva Michel de Certeau: «abbiamo tre orecchie, due visibili, la terza per cogliere i messaggi interiori».
«Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio». Gesù spiazza i suoi interlocutori e richiama che la forma di vicinanza più radicale è l’ascolto dell’altro. Diversamente si rischia di incontrare mai l’altro. E il medium è la parola che consente di decifrare cosa si nasconde nella realtà. Recuperare questa capacità contemplativa e non manipolativa è il grande assioma di Francesco che ad un certo punto smette di voler cambiare la realtà con la violenza delle armi e ne cambia la sostanza cambiando il suo sguardo. Questo dono è legato all’ascolto che è l’antidoto a quella esteriorizzazione dell’esistenza che ci porta a vivere sempre fuori da noi stessi e a finire per non gustare più niente della realtà. Fare spazio alla parola di Dio è quello che rende creativi e capaci di esprimere una nuova visione delle cose.
“E la osservano”: è l’ultima stoccata del Vangelo di oggi. E ci assicura che se l’ascolto è fondamentale, ciò che ci rende liberi è la capacità di sottrarci al destino o al fato introducendo il criterio della nostra capacità di scelta e di decisione. Oggi si è spesso succubi del senso di inutilità e di inconcludenza. Per contro san Francesco ci aiuta a comprendere che la rivoluzione comincia sempre a partire dal basso e dal singolo e rende possibile una trasformazione del concreto. Come in un bel frammento di Charle Peguy: «C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, in quel culmine della dominazione romana. Ma Gesù non si sottrasse affatto (…). Doveva fare tre anni. Fece i suoi tre anni. Ma non perse i suoi tre anni, non li usò per piagnucolare e accusare la cattiveria dei tempi, del suo tempo… Lui vi tagliò (corto). Oh, in modo semplice. Facendo il cristianesimo. Non incriminò, non accusò nessuno. Salvò. Non incriminò il mondo. Salvò il mondo». Questo è quel che tocca fare anche a noi se vogliamo stare “con Francesco nella valle”.