«Ricorda (a tutti)… di essere pronti per ogni opera buona; di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini». Paolo scrivendo a Tito ricorda ai cretesi che la gentilezza è una virtù umana, oltre che cristiana. Per contro, ieri come oggi, la gentilezza è percepita come un atto di debolezza e ad essa si preferisce l’aggressività. Tanto che papa Francesco scrive: «Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, regalare un sorriso, dire una parola di stimolo, rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (Cfr. Omnes fratres, 2221-224). Non vi pare il ritratto di d. Mauro Bartolini, perfino con le sue stesse parole? Non l’ho conosciuto, ma fui colpito da una sua foto che oltre la delicatezza del volto lasciava intuire proprio la sua gentilezza. Recuperare la gentilezza è oggi diventata una urgenza. Don Mauro – stando alle sue parole – ha appreso questa forza dalla mancanza di armonia che aveva sperimentato in famiglia, quando i suoi genitori si divisero. È lui stesso a confidarlo nel racconto della sua vocazione: «Fu come una luce – scrive – e compresi che dovevo restare al mio posto, in famiglia, non per dare spazio al mio dolore ma per assumermi il dolore e i problemi degli altri, di quelli che mi erano vicini; di mia madre, dei miei fratelli, anche di mio padre che ci aveva lasciati». Questa scelta di farsi carico del dolore degli altri è solo un aspetto della gentilezza unito peraltro alla chiarezza nel tessere rapporti, senza infingimenti. Mi colpisce il ricordo del prof. Luigino Bruni, più piccolo di Mauro, e da questi criticato senza peli sulla lingua per una sua leggerezza. Dunque, gentilezza è insieme farsi carico degli altri, ma anche correggere l’altro.
«Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». A prima vista la domanda sconsolata del Maestro, rattristato per la mancata gratitudine degli altri nove ‘guariti’ potrebbe apparire solo una mancanza del galateo. Ma dietro questo sfogo di Gesù si nasconde ben altro. Gesù vuol far comprendere che il luogo dove rendere grazie a Dio non è più il Tempio, ma è Lui stesso: in Lui si adora ormai in spirito e verità. Il samaritano è l’unico che comprende questa verità e dimostra di non essere semplicemente stato ‘guarito’ come gli altri, ma di essere stato ‘salvato’. Don Mauro non fu guarito dal suo incidente. Ma sicuramente è stato salvato. E ora possiamo pensarlo senza dubbio come un eterno rendimento di grazie a Dio nel quale vive per sempre.