Omelia in occasione della Messa ad Accumoli nel quarto anniversario del terremoto del 24 agosto 2016

(Ap 21, 9b-14, Sl 145; Gv 1,45-51)
24-08-2020

Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello”. Le parole dell’Apocalisse che descrivono il futuro che viene da Dio al di là della timide aspettative umane, autorizza anche noi a sognare il tempo che verrà. In questi interminabili anni alle nostre spalle mi sono chiesto spesso che cosa ci direbbero quelli che non sono più tra noi. Non ho trovato una risposta puntuale, se non immaginaria. Ho percepito però un grido che sale dalle tante, troppe, vittime di questo evento catastrofico: non siate superficiali! Non separate mai la vita dalla morte, la giovinezza dalla vecchiaia, in altre parole la vitalità dalla noia. E oggi ce lo ripetono sommessamente: non commettete l’errore di riprendere tutto come se nulla fosse accaduto! Qualcosa è cambiato e definitivamente. Ma non è l’ultima parola. “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”, ci fa pregare il salmo 90. Di quale cuore si tratta? Di un cuore che sa ascoltare senza fretta il dolore che permane e logora tutti, introducendo a piene mani stanchezza, impotenza, rabbia. La saggezza, al contrario, ci fa lucidi, vigilanti, sobri. E ci invita a camminare coi piedi per terra, senza smettere di guardare in alto. Dobbiamo riprendere a camminare così. Lo dobbiamo, anzitutto, ai più piccoli che sono tra di noi: i bambini e i ragazzi, ma anche questi luoghi che già hanno conosciuto l’abbandono e non meritano il deserto.

Ecco un Israelita in cui non c’è falsità”. Questo è l’elogio riservato a Natanaele che il testo di Giovanni evidenzia. Occorre pregare perché tra di noi e in capo alle istituzioni ci siano uomini e donne senza falsità. “Ce la faremo?”. Questa è la domanda che serpeggia nell’animo di tutti, dopo anni di promesse e di incertezze.  Sì, anche noi vogliamo dare fiducia ancora a chi è chiamato a guidare questa ricostruzione che dopo quattro anni è ancora più urgente ed indilazionabile. Siamo nella mani delle istituzioni e della macchina pubblica, che ci hanno assicurato che questi luoghi torneranno a vivere. Ma anche nelle mani di chi dovrà tradurre questo impegno senza lasciarsi fuorviare da altri interessi. E soprattutto nelle nostre mani che non possono restare inerti o nostalgiche, ma debbono ritrovare l’energia e la voglia di ricostruire insieme. Soltanto così il soffio vitale che c’è in ognuno di noi tornerà a far risplendere il sole su questa terra. Ne sono un presagio i nostri ragazzi e i nostri bambini, ancorché intontiti e paurosi. Così come li descrive Gianni Rodari: “Tra le tende dopo il terremoto i bambini giocano a palla avvelenata, al mondo, ai quattro cantoni, a guardie e ladri, la vita rimbalza elastica, non vuole altro che vivere”.