«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Quando Gesù pronuncia queste parole ha già sperimentato l’indifferenza e l’ostilità di scribi e dottori della Legge che, pur di fronte ai ‘segni’ posti in essere a Corazin, Betsaida e Cafarnao, si rifiutano di accoglierlo. Il Maestro, però, non si scompone, né inveisce, anzi sprofonda nella preghiera di lode, integrando così l’insuccesso, senza venirne deformato. Il suo ‘sì’ al Padre non è meno radicale di fronte al fallimento, all’assenza di risultati, alla sterilità apparente e invece di scoraggiarsi o di mollare si affida ancora di più al Signore.
Questa preghiera è pure un modo per capire come Gesù guarda la realtà: quali le sue priorità e le sue preferenze. L’accento, infatti, non è punitivo nei confronti di chi non ha accolto la rivelazione, quanto di ringraziamento per il fatto che Dio si rivela nei ‘piccoli’, cioè negli infanti. Chi sono i senza-parola? Sono quelli che non si nascondono dietro ad un titolo o ad un ruolo, che non possono esibire alcun prestigio, né far leva su alcuna posizione di rendita e, tuttavia, sono aperti alla vita e a Dio. Ma perché Gesù loda l’intelligenza dei piccoli e stigmatizza la saccenza delle persone colte e sapienti? Non certo per svalutare l’intelligenza o, addirittura, per negare la sapienza. Semplicemente per richiamare un fatto: per conoscere la realtà non basta l’intelligenza della mente, ci vuole l’intelligenza del cuore. Questa non nega l’altra, ma la supera. Come un madre che intuisce quel che c’è nel figlio. Ecco perché ci sono persone, magari anche illetterate, che rivelano una limpidezza, una trasparenza, una mitezza e una umiltà che affascinano.
Di qui l’invito conclusivo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». La nostra è la “società della stanchezza” (Byung-Chul Han). Siamo passati – sostiene il filosofo coreano – da una società disciplinare a una di tipo prestazionale, dove l’eccesso di stimoli, informazioni, impulsi esaurisce e disorienta. Abbiamo bisogno di un po’ di riposo che sia come un intervallo spossato, ma lieto. Come la terra che quando viene l’inverno resta immobile sotto la coperta del freddo, sembra morta, ma si rigenera. Non è della lentezza che abbiamo bisogno, ma di quell’indugiare che fa guardare negli occhi la realtà, gli altri, la presenza stessa di Dio. Ecco perché Gesù promette riposo a chi assume il suo giogo: un’esistenza che non sottrae alla fatica, ma non diventa iperattiva e nervosa, ma mite, umile, paziente e benevola. Da Lui viene l’autentica leggerezza che scaccia la stanchezza: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime».