Martedì della IX settimana del Tempo Ordinario, Santa Barbara in Agro

(Sir 51,1-8; Sl 30; 2Tim 2,8-13;3,10-12; Mt 11,25-30)
02-06-2020

«La mia anima era vicina alla morte; la mia vita era giù». Le parole che in modo autobiografico l’autore del libro del Siracide, Gesù figlio di Sira (Sir 50,27), colloca a conclusione della sua opera, sembrano descrivere al meglio il tempo da cui stiamo faticosamente uscendo. Abbiamo da poco abbandonato quel clima plumbeo in cui – per la prima volta – la nostra generazione ha sperimentato da vicino l’odore acre della morte, il senso della fine imminente, l’oscuro presagio di un precipizio da cui non potersi più risollevare. Non rimuoviamo troppo in fretta quelle sensazioni perché – per converso – ci hanno fatto riscoprire oltre la fragilità, la bellezza e la gratuità dell’esistenza. Non a caso, di recente, papa Francesco ha detto: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di non sprecarla». Per sprecarla, in effetti, è sufficiente sottovalutare l’appello al cambiamento che sta dietro a quanto ci è capitato tra capo e collo. Il rischio, infatti, è di tornare alla “normalità”, che è poi ciò da cui è scaturito il dramma del coronavirus. Come sempre le parole del Maestro sono fonti di ispirazione. Di esse, vorrei farne risuonare almeno tre.

La prima: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò sollievo». Non sprecare questo momento è riconoscere che – ben prima della pandemia – eravamo una comunità priva di slancio, demotivata, depressa. Dobbiamo ritrovare motivi per vivere e per lottare perché non sono i giovani che sono ‘sdraiati’, ma noi adulti i primi che tiriamo a campare, annegando nelle dipendenze piuttosto che godendo della vita e cercando di trarre da essa sollievo, cioè la gioia di esserci e di generare vita intorno a noi.

La seconda: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore». Le parole di Gesù descrivono le due qualità oggi più necessarie per uscire dalla crisi: la mitezza e l’umiltà di cuore. Mite, beninteso, non è colui che è debole, ma chi regge la durezza del momento con la coerenza del proprio vissuto. Troppi Masanielli (sic!) poi smentiti tragicamente abbiamo visto. C’è bisogno di gente – e ce n’è – che dia il proprio contributo con stile e senza arroganza. Questa è l’umiltà del cuore di cui si ha bisogno per salvaguardare il rispetto che fa crescere.

La terza: «Poiché il mio giogo è soave e leggero il mio peso». Non vi è dubbio che vivere spiritualmente è la maniera umanamente più ricca che sia possibile immaginare. Mentre allontanarsi da Dio vuol dire indossare una “camicia di forza” che ci costringerà a vivere in modo stressante e pesante. Chi ha manifestato di fronte Santa Barbara di fronte alle avversità è stata mite, umile di cuore, leggera. La fede l’ha resa attraente a quel tempo e oggi per noi. Invochiamola per la nostra comunità.