In questi giorni accade che negli ospedali si muoia soli, con o senza il coronavirus, a causa delle stringenti regole giustamente imposte per contenere la diffusione del contagio. C’è, dunque, il dolore dei parenti che non possono salutare i propri cari. Ma ancor prima, c’è il dolore di chi se ne va mentre è in terapia intensiva e non può incrociare lo sguardo di chi ama. La pandemia ci ha privati di quei momenti così umani che ci aiutano a vivere la morte. Tale mancanza ci sta scavando più di quanto non pensiamo.
Nel giorno di san Giuseppe, vogliamo lasciarci ispirare dalla tradizione cristiana che ha sempre identificato nel padre putativo di Gesù non solo “un uomo giusto”, ma anche colui che serenamente spira tra le braccia di Gesù e di Maria. Ricordate le invocazioni? Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l’anima mia. Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell’ultima mia agonia. Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l’anima mia.
Di fatto oggi – a parte questa terribile emergenza che finirà – non si muore quasi mai a casa, ma nei vari centri specializzati o in ospedale. Non è umano, tuttavia, esser privati dalla possibilità di dirsi addio, non disporre di quegli attimi irripetibili in cui tacitamente ci si affida l’un l’altro. È umano, invece, fare come san Giuseppe che si affida serenamente a Dio secondo le parole del salmo 22, a lui ben noto: ”Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi comminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza… Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni”.