I domenica di Quaresima (A). Omelia in occasione dell’Assemblea elettiva dell’Azione Cattolica

(Gen 2,7-9.3,1-7; Sal 51; Rom 5, 12-19; Mt 4, 1-11)
29-02-2020

«E c’è una favola per cui chi mangia una mela fa il peccato più grande e più brutto che c’è» (Luca Carboni). Fin quando non capiremo che non è Dio ad architettare le cose in modo da indurre gli esseri umani in tentazione, basterà una canzonetta, come quella citata, o un qualsiasi ragazzino, munito di cervello, a far franare il castello di carte di una teologia che ha smarrito la sapienza del testo genesiaco. Il quale – per intenderci – non va interpretato alla maniera del mito greco di Prometeo, ma piuttosto alla luce del racconto evangelico, dove Gesù è sfidato per tre volte dalla simia Dei.

E veniamo alla prima tentazione: perdere l’umanità. Si capisce dalle parole sferzanti del diavolo: «Dì che queste pietre diventino pane». Il contrario dell’umanità è la presunzione di chi con “la bacchetta magica” vorrebbe trasformare la realtà. Ad esempio, la crisi economica del 2008 è nata dalla pretesa di fare i soldi solo… coi soldi (leggi finanziarizzazione) e non con il lavoro, la giustizia, la conoscenza. Si cede alla tentazione di non essere più umani quando ci si affida al miracolismo. Mentre come replica il Maestro: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio», per dire che la vera fame da sfamare è quella del senso e del desiderio di vita.

La seconda tentazione: censurare la mortalità. Il diavolo è seducente: «Gettati giù». Questa tentazione è molto diffusa tra giovani e meno giovani che si espongono a pericoli gratuiti per un po’ di adrenalina o si consumano nelle droghe, gettandosi da un precipizio per sfidare il destino. Si perde il senso della mortalità quando non si avverte più il limite. Mentre Gesù replica: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Perché è la vita che ci mette in discussione e non siamo noi che dobbiamo metterla in dubbio perché è sempre più forte e più affidabile di noi.

La terza tentazione: ignorare la divinità. Il diavolo è spregiudicato: «Se… mi adorerai». Il contrario di Dio non è l’incredulità, ma è l’idolatria, cioè la sostituzione di Dio con cose che acquistano valore assoluto: il denaro, il potere e il successo. In tutti questi casi, come nel Faust di Goethe ci è chiesto di vendere l’anima. E di perdere il nostro valore soprannaturale che non ha prezzo come il proprio io.

Le tentazioni dell’AC oggi – a mio modesto parere – sono tre: la fuga dalla concretezza dell’apostolato; la fuga dalla novità di ogni stagione; la fuga dalla ricerca di Dio. “Vedere Dio in tutte le cose”, infatti, resta lo scopo dell’Azione Cattolica che forse meglio si potrebbe chiamare “Passione Cattolica” (papa Francesco).